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Nell'ambito dei giovedì culturali gli alpini del Comitato per il
Centenario del gruppo Milano Centro "Giulio Bedeschi" hanno
ripercorso, attraverso carteggi inediti dal e per le trincee del 1915-'18,
la sofferenza di cuori schiacciati fra nostalgia familiare e incombenza
della morte.
Ci fu una guerra reale: cruda, estenuante e apocalittica;
e poi ci fu una guerra introspettiva, vissuta dai cuori, fra strazio e
nostalgia, desideri e rimpianti. Le trincee, gli assalti, la morte a scandire
la quotidianità del fronte; lettere, cartoline, appunti e diari
a fissare il legame vitale con il mondo degli affetti, quella nicchia
protettiva, conosciuta, rassicurante, ma ormai dolorosamente lontana,
dove genitori, mogli, figli e fidanzate erano tutti finiti e condannati
ad aspettare, come in un limbo della memoria. I soldati "prigionieri"
della guerra; i loro familiari "prigionieri" di una quotidianità
senza più normalità.
Gli alpini milanesi del Comitato per il Centenario (gruppo "Giulio
Bedeschi"), impegnati dalla scorsa primavera nell'imponente rievocazione
quadriennale della Grande Guerra, hanno aggiunto un nuovo tassello al
recupero di quel tragico inizio del Novecento, quando un'intera generazione
fu travolta e martoriata e con essa il Paese intero.
Nell' ambito dei giovedì culturali, nella sala "Dante Belotti"
della sede di via Vincenzo Monti, lo scorso 21 aprile, proiezioni, foto,
filmati e letture hanno guidato una platea attenta e numerosa alla scoperta
di lettere e memorie dal fronte 1915-'18.
È stata una serata ricca di significati storici e molto intensa
dal punto di vista emotivo. Due interpreti, praticamente perfetti e senza
sbavature retoriche, Gianluca Marchesi e sua figlia Giulia, si sono calati
nei panni di chi, un secolo fa scriveva lettere accorate, povere, semplici,
strazianti, da casa verso il fronte e dalle trincee ai propri familiari
lontani.
Donne e uomini del primo Novecento italiano che, con parole istintive
e marchiate spesso da semianalfabetismo, hanno raccontato la loro guerra
personale vista dal basso, la guerra vissuta sulla propria pelle, la guerra
della paura, dell'attesa, della sofferenza, dell'angoscia e della speranza
perduta.
È stato calcolato che fra il 1915 e il 1918 in Italia circolarono
circa 4 miliardi fra lettere e cartoline: 2 miliardi e 137 milioni dal
fronte verso casa, 1 miliardo e mezzo dal Paese in direzione del fronte
e 263 milioni scambiate fra militari dislocati in zone diverse di guerra.
Si tratta di testimonianze preziose. Raccontano la nostalgia di casa,
le preoccupazioni per i familiari lasciati soli, il badare sia pure a
distanza agli affari di casa e ai lavori in campagna; e poi la paura della
morte, la consapevolezza di essere dentro uno scontro dai tratti feroci,
il timore di essere in balía di una guerra di lunga durata, potenzialmente
infinita.
Rispondono da casa mogli e genitori smarriti. Donne e uomini comuni che
intrecciano, spesso in modo sgrammaticato e approssimativo, notizie riguardanti
la salute, la crescita dei figli, raccomandazioni ad avere cura di sé,
invocazioni alla Madonna e ai Santi più disparati per ogni forma
di protezione. Nella semplicità e spontaneità della forma
ogni lettera è un'intensa pagina d'amore: filiale, genitoriale
o coniugale.
Le parole scritte appaiono come l'unico filo capace di tenere uomini in
arme legati agli affetti del loro mondo civile: una fiammella di calore
affettivo per mitigare il gelo della guerra bianca e i brividi di una
morte sempre aleggiante.
Ha sottolineato Gianluca Marchesi: «Queste lettere, ritrovate fra
cantine soffitte e rispostigli, disperse nell'oblio, sono schegge di memoria
e riverberi di anime affrante di fronte agli orrori dei combattimenti».
Per una sera sono tornati dal mondo delle ombre soldati senza nome, fidanzate
e mogli con la loro angosciante solitudine, genitori aggrappati al filo
della fede e alle grazie di infiniti Santi.
L'evento della sala Belotti, arricchito da foto e filmati realizzati da
Luigi Rinaldo lungo il fronte che va dallo Stelvio all'Adamello, ha raccolto
un'intensa e intima partecipazione. Molto apprezzato è stato lo
sforzo "alpinistico-storico" del ricercatore documentarista
Rinaldo che si è spinto in luoghi impervi sulle tracce delle nostre
truppe, fra ghiaioni e ghiacciai, oggi accessibili solo ad alpinisti ed
escursionisti esperti, ma un secolo fa raggiunti da ragazzotti contadini
mai saliti più in alto della cima di un albero.
Un momento di particolare commozione si è affacciato quando, dopo
la lettura di tante lettere di donne e uomini confinati nel mondo dell'ignoto,
Luigi Boffi, Presidente della Sez. ANA di MIlano, ha letto la lettera
di suo nonno, scritta due giorni prima di essere ucciso. Una lunga lettera
colma di affetto, piena di struggente intimità e con l'intercalare
"cara moglie" ripetuto quasi ad ogni rigo. Presagio di morte,
impotenza di fronte all'ineluttabile, amore sconfinato per la donna della
sua vita come ultimo disperato silenzioso lascito testamentario.
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