21 Aprile 2016
"Il viaggio a memoria"
Proiezione in tre parti di immagini dal fronte
con letture di scritti e testimonianze verso ... lassù



Articolo di Silvano Guidi
 

Raccolta di immagini del fronte della Guerra Bianca scattate da Luigi Rinaldo
Le lettere e scritti letti da: Giulia Marchesi e Gianluca Marchesi

QUELLE PAROLE D'AMORE E PAURA
CHE RACCONTANO LA STORIA DEGLI ULTIMI


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Nell'ambito dei giovedì culturali gli alpini del Comitato per il Centenario del gruppo Milano Centro "Giulio Bedeschi" hanno ripercorso, attraverso carteggi inediti dal e per le trincee del 1915-'18, la sofferenza di cuori schiacciati fra nostalgia familiare e incombenza della morte.


Ci fu una guerra reale: cruda, estenuante e apocalittica; e poi ci fu una guerra introspettiva, vissuta dai cuori, fra strazio e nostalgia, desideri e rimpianti. Le trincee, gli assalti, la morte a scandire la quotidianità del fronte; lettere, cartoline, appunti e diari a fissare il legame vitale con il mondo degli affetti, quella nicchia protettiva, conosciuta, rassicurante, ma ormai dolorosamente lontana, dove genitori, mogli, figli e fidanzate erano tutti finiti e condannati ad aspettare, come in un limbo della memoria. I soldati "prigionieri" della guerra; i loro familiari "prigionieri" di una quotidianità senza più normalità.
Gli alpini milanesi del Comitato per il Centenario (gruppo "Giulio Bedeschi"), impegnati dalla scorsa primavera nell'imponente rievocazione quadriennale della Grande Guerra, hanno aggiunto un nuovo tassello al recupero di quel tragico inizio del Novecento, quando un'intera generazione fu travolta e martoriata e con essa il Paese intero.
Nell' ambito dei giovedì culturali, nella sala "Dante Belotti" della sede di via Vincenzo Monti, lo scorso 21 aprile, proiezioni, foto, filmati e letture hanno guidato una platea attenta e numerosa alla scoperta di lettere e memorie dal fronte 1915-'18.
È stata una serata ricca di significati storici e molto intensa dal punto di vista emotivo. Due interpreti, praticamente perfetti e senza sbavature retoriche, Gianluca Marchesi e sua figlia Giulia, si sono calati nei panni di chi, un secolo fa scriveva lettere accorate, povere, semplici, strazianti, da casa verso il fronte e dalle trincee ai propri familiari lontani.
Donne e uomini del primo Novecento italiano che, con parole istintive e marchiate spesso da semianalfabetismo, hanno raccontato la loro guerra personale vista dal basso, la guerra vissuta sulla propria pelle, la guerra della paura, dell'attesa, della sofferenza, dell'angoscia e della speranza perduta.
È stato calcolato che fra il 1915 e il 1918 in Italia circolarono circa 4 miliardi fra lettere e cartoline: 2 miliardi e 137 milioni dal fronte verso casa, 1 miliardo e mezzo dal Paese in direzione del fronte e 263 milioni scambiate fra militari dislocati in zone diverse di guerra.
Si tratta di testimonianze preziose. Raccontano la nostalgia di casa, le preoccupazioni per i familiari lasciati soli, il badare sia pure a distanza agli affari di casa e ai lavori in campagna; e poi la paura della morte, la consapevolezza di essere dentro uno scontro dai tratti feroci, il timore di essere in balía di una guerra di lunga durata, potenzialmente infinita.
Rispondono da casa mogli e genitori smarriti. Donne e uomini comuni che intrecciano, spesso in modo sgrammaticato e approssimativo, notizie riguardanti la salute, la crescita dei figli, raccomandazioni ad avere cura di sé, invocazioni alla Madonna e ai Santi più disparati per ogni forma di protezione. Nella semplicità e spontaneità della forma ogni lettera è un'intensa pagina d'amore: filiale, genitoriale o coniugale.
Le parole scritte appaiono come l'unico filo capace di tenere uomini in arme legati agli affetti del loro mondo civile: una fiammella di calore affettivo per mitigare il gelo della guerra bianca e i brividi di una morte sempre aleggiante.
Ha sottolineato Gianluca Marchesi: «Queste lettere, ritrovate fra cantine soffitte e rispostigli, disperse nell'oblio, sono schegge di memoria e riverberi di anime affrante di fronte agli orrori dei combattimenti».
Per una sera sono tornati dal mondo delle ombre soldati senza nome, fidanzate e mogli con la loro angosciante solitudine, genitori aggrappati al filo della fede e alle grazie di infiniti Santi.
L'evento della sala Belotti, arricchito da foto e filmati realizzati da Luigi Rinaldo lungo il fronte che va dallo Stelvio all'Adamello, ha raccolto un'intensa e intima partecipazione. Molto apprezzato è stato lo sforzo "alpinistico-storico" del ricercatore documentarista Rinaldo che si è spinto in luoghi impervi sulle tracce delle nostre truppe, fra ghiaioni e ghiacciai, oggi accessibili solo ad alpinisti ed escursionisti esperti, ma un secolo fa raggiunti da ragazzotti contadini mai saliti più in alto della cima di un albero.
Un momento di particolare commozione si è affacciato quando, dopo la lettura di tante lettere di donne e uomini confinati nel mondo dell'ignoto, Luigi Boffi, Presidente della Sez. ANA di MIlano, ha letto la lettera di suo nonno, scritta due giorni prima di essere ucciso. Una lunga lettera colma di affetto, piena di struggente intimità e con l'intercalare "cara moglie" ripetuto quasi ad ogni rigo. Presagio di morte, impotenza di fronte all'ineluttabile, amore sconfinato per la donna della sua vita come ultimo disperato silenzioso lascito testamentario.