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      Foto©Giovanni 
        Giunta  
        Foto©Luca Geronutti 
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      In un prestigioso 
        convegno, organizzato dalle penne nere del "Comitato per il Centenario", 
        sono stati ricordati i volontari della Legione Cecoslovacca che combatterono 
        al fianco dell’Esercito Italiano nella Grande Guerra. 
         
        Lo scorso 6 aprile, giorno coincidente con l'anniversario secolare dell'entrata 
        in guerra degli Stati Uniti nel primo conflitto mondiale, evento che influenzò 
        in modo determinante l'esito del conflitto, gli alpini del Comitato per 
        il Centenario del gruppo Milano Centro hanno dato vita ad un Convegno 
        di alto valore storico, con relatori di prim'ordine, chiamati a dibattere 
        intorno a un tema decisamente di "nicchia" e, per ciò 
        stesso, molto stimolante.  
        Ospiti della "Sala dei Comandanti" del Centro Documentale Esercito 
        di via Vincenzo Monti a Milano, luogo che per lungo tempo fu sede del 
        Distretto Militare, i convegnisti hanno animato una vasta riflessione 
        sul ruolo di particolari volontari che hanno preso parte alla Prima Guerra 
        Mondiale. Il tema è stato battezzato "Sokol, Penna e Pugnale 
        - La Legione cecoslovacca", con riferimento a quanto avvenne nella 
        fase ultima del conflitto e dopo che il 21 aprile 1918 mediante una convenzione 
        tra il Presidente del Consiglio italiano Vittorio Emanuele Orlando e il 
        generale Milan Rastislav Stefa´nik, in rappresentanza del Comitato 
        nazionale ceco-slovacco di Parigi, quest'ultimo ricevette la bandiera 
        di combattimento nel corso di una solenne cerimonia al Vittoriano (dal 
        1921 Altare della Patria dopo che accolse le spoglie del Milite Ignoto) 
        il 24 maggio alla presenza delle massime autorita` italiane.  
        Le terre ceche e slovacche erano parte costitutiva dell'impero asburgico 
        e i soldati di quelle regioni regolarmente inquadrati nelle truppe austro-ungariche. 
        Poi, gli esiti delle battaglie, i campi di prigionia, gli aneliti di libertà 
        e indipendenza che cominciarono a lievitare ai confini dell'impero, modificarono 
        posizionamenti storici e stati d'animo e spinsero molti soldati cecoslovacchi 
        a dar vita a formazioni volontarie pronte ad affiancare gli Alleati e 
        a combattere contro il "proprio" vecchio Impero. 
        Una di queste legioni cecoslovacche, formata da disertori e prigionieri, 
        venne costituita anche in Italia e partecipo` alla battaglia del Solstizio 
        del 1918 (sul fronte del Piave), combattendo con molto valore e contribuendo 
        fattivamente alla vittoria italiana. 
        La Legione raggruppo` circa 18.000 uomini, tra prigionieri e disertori, 
        che erano stati dislocati in vari campi dell'Italia centrale, meridionale 
        e in Sicilia.  
      Per disposizione dello Stato Maggiore italiano ai legionari 
        vennero riconosciuti due simboli di valore dell’esercito: il cappello 
        alpino e il pugnale degli arditi. Su cappello, al posto dell’aquila, 
        i legionari cucirono il falco, il sokol. Quei militari "aggiunti" 
        vestivano l’uniforme italiana e portavano mostrine biancorosse, 
        i colori nazionali cecoslovacchi, senza stellette.  
      In rappresentanza del Magnifico Rettore dell'Università 
        Cattolica di Milano, Professor Franco Anelli, ha nobilitato il parterre 
        del convegno il Professor Massimo De Leonardis, il quale ha ricordato 
        il ruolo importante, nella Grande Guerra, avuto da padre Agostino Gemelli, 
        fondatore del prestigioso Ateneo milanese. Padre Gemelli fu Cappellano 
        militare e in qualità di medico psicologo molto vicino ai traumi 
        psichici dei soldati. «Inoltre la nostra università» 
        ha aggiunto con mascherato orgoglio «è stata la prima ad 
        avere una cattedra delle istituzioni militari». 
      Il moderatore Gastone Breccia, docente dell'Università 
        di Pavia, ha introdotto i lavori con pillole di richiamo al presente e 
        a una riflessione più meditata. «Tutto è importante 
        per capire il mondo di oggi» ha chiosato. «Tre imperi multietnici, 
        ritenuti imbattibili, furono sconfitti. Era così scontato che nascessero 
        degli Stati-nazione? Gli interessi italiani non erano così in linea 
        con quelli di altri Paesi. L'Italia sbandierava il completamento dello 
        Stato unitario ma mirava di fatto a un ruolo importante nella penisola 
        balcanica. La legione fu il primo nucleo della nazione cecoslovacca». 
        Stimoli raccolti e sviluppati dai relatori.  
        Il professor Gianluca Pastori della Cattolica di Milano ha fatto notare 
        come nel 1914 nessuno ipotizzasse la non-sopravvivenza dell'Impero austroungarico 
        e come le politiche delle nazionalità fossero in fondo "sacri 
        egoismi" per massimizzare i benefici territoriali del conflitto. 
        «A Londra si tennero riunioni non ufficiali in cui esponenti italiani 
        avanzarono le loro pretese: il Trentino, il Tirolo, Trieste, le isole 
        del Quarnaro, concessioni in Dalmazia» elenca il docente della Cattolica. 
        «Il nostro Paese non è poi così sensibile alle vicende 
        dei popoli oppressi dall'impero viennese. Negli incontri di Londra l'Italia 
        mira piuttosto a un accordo "imperialista" con vittime designate 
        le popolazioni slave della costa dalmata. E tutto questo mentre la Russia 
        inizia a dedicare un'attenzione politica molto forte in direzione dei 
        popoli slavi». 
        È stata quindi la volta di Sergio Tazzer, studioso della Grande 
        Guerra. «Nessuna idea avrebbe potuto aver successo senza un proprio 
        braccio armato» ha esordito, alludendo alla Legione cecoslovacca 
        e al suo effetto catalizzatore sul costituendo nuovo Stato. «La 
        legione in Italia ebbe forte ostilità, perché non si concepiva 
        il volontario armato. Su cèchi e slovacchi gravava poi il sospetto 
        di una forza armata senza Stato alle spalle e il fatto che fossero per 
        lo più traditori e disertori. L'Austria Ungheria non andava annullata, 
        ma solo privata di alcuni territori....la legione fu riconosciuta corpo 
        militare del futuro Stato cecoslovacco. Il primo comandante italiano della 
        Legione fu il Generale Graziani. Il fondatore della Legione, uno dei primi 
        a cadere in battaglia, è stato quasi dimenticato in patria». 
        La relazione di Jozef Špànik, consigliere generale d'ambasciata 
        della Repubblica Ceca, ha usato come stella polare l'evoluzione culturale 
        del pensiero politico del suo popolo, così come accadde esattamente 
        un secolo fa. «A lungo ha prevalso l'idea di dar vita a una federazione 
        di Stati, senza ipotizzare lo smantellamento della monarchia, ma solo 
        una sua trasformazione» ha puntualizzato il diplomatico. «Il 
        nostro primo presidente, Tomáš Garrigue Masaryk da riformista 
        dell'impero si è trasformato in sostenitore dell'indipendenza. 
        Anche perché la fine del rischio ottomano ha giustificato la fine 
        della funzione dell'impero asburgico. Le legioni hanno dato vita all'armata 
        cecoslovacca e questa nacque prima dello stato cecoslovacco; anzi ne ha 
        rappresentato la legittimità». 
        È infine arrivato il contributo anche degli storici con le stellette. 
        Prima il Colonnello Cristiano Maria Dechigi, Comandante Capo Ufficio Storico 
        dello Stato Maggiore Esercito che, ha analizzato il processo di addestramento 
        e formazione dei legionari fino a farne un Corpo d'Armata efficiente. 
        «Gestire dei volontari non è semplice» rimarca. « 
        Il volontario decide lui quando viene, ma anche quando va. Il nostro avversario 
        era molto complicato, composto da infinite etnie, alcune delle quali appunto 
        ceche e slovacche. Il rischio di un secondo "tradimento", questa 
        volta di ritorno, era tutt'altro che teorico. Ma il 4º battaglione 
        dei legionari ha dimostrato di sapere essere fedele alla bandiera sotto 
        la quale era chiamato a servire. Fu chiamato Reggimento esploratore cecoslovacco 
        sul fronte italiano. L'Italia si è molto impegnata nel formare 
        il nuovo esercito cecoslovacco, convinta che senza una forza armata non 
        c'è possibilità di una nazione. Nessuno è riuscito 
        a costituire un Corpo d'Armata così bene e a farlo combattere, 
        in modo tanto incidente, prima in Italia e poi a casa sua .....». 
        L'ultimo relatore, il Tenente Colonnello Ciaraffa, ha "esplorato" 
        un aspetto locale e regionale della Legione: i cecoslovacchi accolti in 
        Lombardia, in quel di Solbiate Olona. «È una storia che non 
        si trova sui libri di storia» ha tenuto a sottolineare, «ma 
        è una storia che vive nei ricordi delle famiglie e che si tramanda 
        ancora nei racconti intono alla tavola. A Solbiate Olona fu costituito 
        un campo di accoglienza per ex prigionieri cecoslovacchi e fino al 1920 
        vi transitarono circa 71.000-75.000 cecoslovacchi. Non pochi di loro morirono 
        per la "spagnola", la terribile influenza che fece strage in 
        Europa». 
        Al termine del convegno il presidente del Comitato per il Centenario, 
        avvocato Alessandro Vincenti, ha distribuito un omaggio a relatori e rappresentanti 
        diplomatici; mentre l'attento e premuroso "padrone di casa", 
        Colonnello Mauro Arnò, ha salutato gli intervenuti con un ricordo 
        commovente. «Lungo la strada che da Oderzo conduce a Conegliano 
        Veneto» ha detto «c'è un cippo con una frase bilingue. 
        È lí a ricordare il sacrificio di tanti cecoslovacchi che, 
        catturati dagli austroungarici, furono impiccati lungo quel rettilineo 
        come traditori. Ogni volta che passo in auto per quella strada provo un 
        brivido e penso a quanto quel sacrificio abbia contribuito a suggellare 
        la libertà dei nostri popoli». 
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