
Il Comitato con gli Allivevi della Teullié

Sandro Vincenti Presidente Comitato

Gianluca Marchesi

Gianluca Pastori

Andrea Saccoman

Giacomo Innocenti

Marco Cimmino

William Ward

Ten. Col. Roberto Faravelli
Comandante del Btg Allievi - Teilié

I relatori con gli Allievi
Foto©Giovanni
Giunta
Foto©Luca Geronutti
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CAPORETTO:
LA SCONFITTA E LA IMMENSA PAURA
CHE CAMBIARONO I DESTINI
DELLA GRANDE GUERRA
Al circolo Volta di Milano il Comitato
per il Centenario ha dato vita ad un convegno con i migliori analisti
del primo conflitto mondiale per "rivisitare" significato e
conseguenze di una débâcle meno enigmatica di quanto tramandata.
Caporetto, non solo un toponimo; non solo disfatta in una battaglia mai
metabolizzata da chi la subì; non solo un confine temporale fra
anni di logoramento in trincea e la svolta finale verso la Vittoria. Caporetto,
oggi piccola località slovena di 4.000 abitanti, un secolo fa fu
tutto e il contrario di tutto: la conseguenza di scenari geopolitici;
l'effetto degli attriti fra Governo italiano e Comando Supremo; l'esito
di evoluzioni tattiche nella guerra ad alta quota.
Questo e tanto altro è stato ricordato e spiegato nel corso di
un denso Convegno tenutosi al Circolo Volta lo scorso 28 settembre e organizzato,
con il consueto rigore, dal Comitato per il Centenario del gruppo Alpini
Milano centro "Giulio Bedeschi".
Ma forse sarebbe ancora più esatto considerare questo Convegno,
moderato con impeccabile fair play dall'alpino Gianluca Marchesi, una
vera e propria lezione di Storia a più voci, con prospettive oscillanti
dalle vette alla pianura e analisi estese ai diversi fronti della Guerra.
Sul palco si sono avvicendati studiosi e docenti universitari: Gianluca
Pastori, Andrea Saccoman, Giacomo Innocenti, Marco Cimmino e William Ward.
In Sala hanno prestato attenzione cultori di vicende storiche, appassionati
della Grande Guerra e giovani allievi della Scuola MilitareTeulié,
splendidi nella loro divisa bianca di foggia storica e forse inconsapevoli
destinatari di un prezioso testimone di conoscenza.
È toccato al professor Pastori tratteggiare la realtà del
fronte italiano in quell'ottobre del 1917. «Fino a Caporetto il
nostro era stato un fronte secondario, destinato ad alleggerire il fronte
franco-belga» ha puntualizzato il docente della Cattolica. «La
rotta e il rischio concreto dell'uscita di scena dell'Italia sarebbe stato
fatale per i destini di Francia e Gran Bretagna: ecco perché quella
battaglia cambiò l'attenzione degli alleati nei confronti dell'Italia,
favorendo l'innesto, a tutto tondo, del nostro Paese nella Grande Guerra
contro la Germania». Il relatore ha ricordato il generale clima
di sfiducia: degli alleati nei confronti dell'Italia; della nazione contro
il Governo destinato ad entrare in crisi e a vedere l'alternanza di Paolo
Bonelli con Vittorio Emanuele Orlando; delle riunioni di Rapallo e Peschiera,
nel novembre del '17, nelle quali le posizioni franco-britanniche si fecero
impositive con l'Italia fino a pretendere il sollevamento di Cadorna dal
Comando supremo. Il Re ovviamente respinse "pro forma" la richiesta
alleata, ma si affrettò pure ad annunciare che il governo aveva
già deciso la sostituzione di Cadorna con Diaz.
L'Italia dopo Caporetto si scoprì bisognosa di tante cose: armi,
cibo, rifornimenti. Aveva lasciato sul terreno non solo morti e sbandati,
ma armi pesanti ed equipaggiamenti vari, tutte forniture essenziali che
potevano essere ripristinate solo con il contributo degli alleati e in
speciale modo degli americani. Per la prima volta l'Italia fu costretta
a una politica credibile nei confronti degli alleati, mentre in un momento
di autentica crisi emerse con forza tutta la debolezza politica del nostro
Paese, vera eredità di Caporetto.
Al docente della Bicocca è spettato il compito del raffronto fra
Cadorna e Diaz. «I rapporti fra governo e comando supremo furono
molto influenzati dai personaggi al vertice» ha esordito cauto Andrea
Saccoman, consapevole dell'esplosività del tema e dei personaggi.
«Cadorna non era fatto per essere simpatico e non aveva qualità
"politiche". Portava addosso il suo fare aspro, la presunzione,
la testardaggine di chi credeva di essere sempre nel giusto. Per lui i
politici dovevano fornire alle forze armate tutto ciò di cui avevano
bisogno e poi non ficcare il naso nelle scelte strategiche e nelle operazioni
in generale. Cadorna fu informato sia della neutralità della prima
ora sia del patto di Parigi, senza però esserne coinvolto».
«Ogni volta che le posizioni dell'esecutivo gli parevano di ostacolo
il Comandante supremo dava o minacciava dimissioni» ha raccontato
ancora Saccoman. «E così, di minaccia in minaccia, di dimissioni
in dimissioni, Cadorna si liberò di parecchi politici: ministri
della Difesa e presidenti del consiglio. Cadorna era sospettoso. Diffidava
di tutto e tutti. Cadorna imputava ad Orlando, prima ministro dell'interno
e poi presidente del consiglio, di non aver fatto abbastanza per attenuare
l'atmosfera disfattista che aleggiava nel Paese. Sembra che furono gli
alleati a Rapallo a chiedere la destituzione di Cadorna. Il compito di
prenderne il posto toccò al napoletano Diaz, che aveva qualità
di mediazione».
Quali furono i meriti di Diaz?, si è domandato Saccoman. E si è
risposto: «Riorganizzò il comando supremo, creò un
vero clima di squadra. Curò personalmente i rapporti con Re e governo.
Cenava con il Re due volte la settimana. Ma tenne solo per sé il
comando delle operazioni. E non disse nulla della controffensiva di Vittorio
Veneto».
La relazione di Giacomo Innocenti ha sondato il come e il perché
un contingente britannico giunse di supporto in Italia. «Cadorna
negò dapprima di avere necessità di aiuti. Poi ammise e
vennero in aiuto 11 divisioni: 6 francesi e 5 britanniche» sintetizza
il docente della Cattolica. «Le truppe italiane furono felici dei
nuovi innesti, gli inglesi però vennero schierati in Lombardia,
a Mantova, nella ipotesi di un ulteriore collasso del fronte. Pur non
impegnati in combattimento francesi e inglesi c'erano e offrivano garanzie
alle spalle. Di rimando gli inglesi pretendevano dagli italiani una pressione
continua sugli austroungarici».
Gli inglesi presero parte alla battaglia del Solstizio. Come si comportarono?
«Piuttosto male» è il giudizio di Innocenti. «Perché
la loro tattica delle difese scaglionate, perfetta in pianura, non poteva
funzionare in montagna. E furono gli italiani a dover dare loro un supporto».
Per la cronaca i britannici restarono in Italia ben oltre la fine della
guerra; nelle zone di Lodi, Pavia e Milano si trattennero fino al 1920,
per vendere il vendibile dei loro mezzi ed equipaggiamenti e per organizzare
il rimpatrio di ciò che non riuscirono a commerciare.
Lo storico militare Marco Cimmino ha fornito un'ulteriore visione interpretativa
di Caporetto. «È stata solo la vittoria di un sistema più
moderno di operare e combattere su un sistema superato. Nulla di enigmatico.
Il sistema di infiltrazione ci ha trovati impreparati. Ma la lezione ricavata
dalla sconfitta generò la premessa per la Vittoria finale»
ha sentenziato lo studioso. «Caporetto ha rappresentato però
anche una grande paura, inoculando nel Paese un sentire diverso. La paura
arrivò fino a Milano, perché Milano rappresentava la retrovia
vicinissima, situata come era ai piedi delle montagne e con tutta una
serie di direttrici che puntavano su Milano: dallo Stelvio, lungo la Valcamonica
e attraverso il passaggio fra il lago d'Idro e il lago di Garda».
Ad alleggerire le analisi storiche e a introdurre note di "colore"
è intervenuto infine anche un relatore britannico, William Ward,
giornalista scrittore ed ex BBC, che ha indugiato sui rapporti italo-britannici,
scanditi, a suo dire, da una secolare corrente di simpatia fra i due Paesi,
ben prima dello scoppio della Grande Guerra. A testimoniare ciò
nomi di prestigio: Garibaldi in visita a Londra nel 1864, il premier Beniamino
Disraeli di origine italiana, Antonio Panizzi direttore del British Museum,
lo scultore piemontese Carlo Marocchetti ideatore dei 4 leoni alla base
della colonna celebrativa di Nelson in Trafalgar Square e di alcuni monumenti
funerari di membri della famiglia reale inglese. William Ward ha concluso
il suo intervento con un conciliante giudizio: «L'Italia ai tempi
della prima guerra mondiale era una specie di start up, un progetto di
nazione e la Gran Bretagna si è sempre considerata una sorta di
sua protettrice».
L'intensa mattinata si è conclusa con alcune domande del pubblico
ai relatori. Ci furono responsabilità di Badoglio nello sfondamento
di Caporetto? A rispondere è stato un caustico Saccoman. «Su
Caporetto resistono pregiudizi. La verità, quasi mai ricordata,
fu che i nemici riuscirono a interrompere quasi tutte le comunicazioni,
che allora avvenivano via filo. Ogni battaglia è, nel momento della
battaglia, confusione totale. Qual è il grado di controllo che
può essere realmente esercitato? Un comandante che ha sotto di
sé di 2 milioni di uomini e 65 comandi di divisione può
davvero controllare tutto e tutti? Ci fu una règia commissione
d'inchiesta su Caporetto. Si è vociferato di 13 pagine di colpe
di Badoglio, poi abilmente cancellate; ma in realtà si trattava
solo di 2 paragrafi da interpretare in filigrana. La storia militare è
fatta di particolari, a volte sapientemente confusi».
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