17 Giugno 2015
"Mangiar si deve"
Convegno sull'alimentazione
durante la Grande Guerra
e
Cibo e vettovaglie
come
fucili e mitraglie
Mostra iconografica
Articolo di Silvano Guidi
 


LA GRANDE GUERRA VISTA
DA PARTE DELLO STOMACO

Stanchezza, paura, fame: sono gli aspetti materiali a governare gli eventi bellici. Il convegno tenuto e organizzato dagli alpini del gruppo Milano Centro ha scandagliato gli aspetti meno marziali del conflitto '15-'18. Perché, come disse Napoleone ad Austerlitz, «un esercito marcia sul suo senso di sazietà».

 

 

«Gli scalda-rancio sono giunti al momento opportuno: per quanto l'inverno non sia tanto aspro, pure il termometro scende spesso di notte a 7 e 8 gradi sottozero. Il rancio è unico: viene distribuito di notte e per quanto trasportato nelle casse di cottura finisce per giungere freddo proprio a quelli che più hanno bisogno di calore. Alle vedette, alle guardie, ai piccoli posti distaccati lontano. Fa pena vedere certi poveri siciliani, calabresi, napoletani - veri bambini - accoccolati in qualche angolo un po' riparato dal vento, godersi il tepore della gavetta che non riesce nemmeno a sgranchire loro le dita irrigidite dal freddo. E fa pena ugualmente il vedere certi alpini vecchi, barbuti, uomini di 40 anni, che con aria rassegnata ingoiano quelle quattro cucchiaiate tiepide.......lo scaldarancio serve per dar fuoco ai quattro sterpi che manderanno più fumo che caldo. Serve da lumino, serve da stufetta e da scaldìno; posto in vecchie latte da conserva bucherellate, costituisce un ottimo piccolo calorifero. E serve, più di ogni altra cosa, serve da amico. È il simbolo del focolare!» Questa testimonianza da sola, fra infinite altre tutte inedite, ha fornito al Convegno organizzato dagli alpini del gruppo Milano Centro, tenutosi lo scorso 17 giugno a Palazzo Cusani di Milano, uno spessore non preventivato alla vigilia dell'evento.
Un convegno che non replichi fatti e nozioni note, ma arricchisca la conoscenza collettiva con particolari e approfondimenti inesplorati, raggiunge sempre e in pieno il suo obiettivo. E così è stato a Palazzo Cusani.
I relatori hanno fatto riaffiorare dati e particolari mai sufficientemente evidenziati dalla storia militare: per esempio che negli imperi centrali europei ha fatto più morti la fame durante la prima guerra mondiale che le bombe durante la seconda. Settecentomila vittime contro cinquecentomila. E ancora: che fra i due più famosi ricettari del primo Novecento italiano, quello dell'Artusi e quello di Ada Boni, ne esiste anche un terzo, scritto dal tenente genovese Chioli durante la sua prigionia in un campo di concentramento austriaco. Il giovane ufficiale per ingannare il "vuoto" della detenzione raccolse ricette e piatti tipici di quasi tutte le regioni italiane, carpendo contributi dagli altri ufficiali, anche loro prigionieri. Chioli, da buon genovese, si impegnò nella perfetta formulazione del pesto e non risultò essere estraneo alla nascita della Confraternita del gustoso condimento ligure.
L'articolazione del Convegno è stata avvincente con excursus sulle modificazioni alimentari introdotte dalla guerra e finite col riverberarsi sulle tavole degli italiani anche lontano dalle trincee. Se ne è fatto interprete Alessandro Marzo Magno, scrittore e giornalista, che ha intramezzato il suo interessante e gradevole intervento con vere e proprie "chicche culturali".
Tipo: i soldati siciliani non conoscevano il bollito e i commilitoni del Nord avevano fatto credere loro che in Lombardia e Piemonte esistessero delle "miniere di bollito"; gli alpini abruzzesi non avevano mai visto arance, tanto da mangiarle senza sbucciarle all'inizio dell'avventura bellica; il caffè, introdotto dopo la sconfitta di Caporetto per far aumentare l'attenzione dei soldati, attecchí talmente che i militi, finita la guerra e tornati a casa, lo imposero nella colazione familiare del mattino; il riso, invece, ingrediente povero e popolare delle minestre venete, non incontrò mai il favore dei soldati, in particolare di quelli meridionali, complice il "calvario" che ne accompagnava il percorso, dalle cucine da campo ai luoghi si consumo: arrivava sempre scotto, lungo e immangiabile. Talché finita la guerra, a differenza del caffè, il riso ebbe sorte avversa al suo ingresso nei menù del Sud, tanto che i ristoranti del Meridione, ancora agli inizi degli Anni 80, non contemplavano il risotto nelle loro proposte.
Sergio Tazzer, altro studioso di materie militari, ha seguito il filo tragico che ogni guerra ha sempre cercato di spezzare: fame-sete-morte. E anche il suo intervento è stato ricco di aneddoti: dalla razione calorica dei nostri soldati (4085 calorie a testa a inizio guerra), ben superiore alle 3900 calorie che la popolazione civile raggiunse solo nel 1961; alla fornitura alla truppa di bevande alcoliche di conforto; dalla grande sete che colpì i soldati sui fronti dell'Isonzo e del Carso; ai laghetti e rari corsi d'acqua inagibili e impotabili per i tanti cadaveri che vi finirono immersi.
L'acqua, in tutte le guerre, ha rappresentato elemento sia strategico sia tattico; a maggior ragione lo è stata in una guerra di posizione , come quella del '15-'18. L'Italia si mostrò impreparata al riguardo e cercò di porvi rimedio con estremo ritardo: in tanti morirono per sete e qualcuno annotò che «nessuno spasimo di ferita può eguagliare il tormento della sete».
Alice Colombo e Francesca Del Maestro, storiche dell'arte del Museo del Risorgimento di Milano, hanno parlato dei pittori soldato al fronte, mostrando una serie di disegni, fra cui pregevoli testimonianze grafiche e pittoriche di Alberto Salietti (1892-1961). Il tema del cibo, della mensa, dei momenti conviviali del battaglione, è stato trattato dagli artisti soldati con struggente immediatezza e con tratti emozionali ed evocativi. Dimostrazione che mettersi a mangiare richiamava sempre alla mente la famiglia lontana.
Il professor Gianluca Pastori, della Cattolica di Milano, ha intrattenuto la platea sulla politica annonaria italiana ai tempi della prima guerra mondiale, spiegando come e perché le produzioni agricole soffrissero (i contadini al fronte erano oltre la metà dei soldati) e quanto fu necessario ricorrere al razionamento. Se ne occupò il commissario Crespi, milanese e liberista convinto, "usato" dal Governo per uccidere il liberismo nella politica annonaria, in quanto «il libero mercato è incapace di vincere le guerre». Solo lo Stato, durante un conflitto, deve decidere cosa è giusto produrre, come produrre, quanto produrre e a che prezzo.
La nota di attualità è stata fornita dal capitano dell'Esercito Ezio Gaglione che ha illustrato le razioni moderne per il soldato tecnologico di oggi.
Ma il pezzo forte del convegno è stato indubbiamente la corposa relazione dello storico alpino Andrea Bianchi, dedicata allo scalda-rancio: una summa che partendo dalla invenzione del "magico" rotolino di carta, impregnata di sego e cera, adatto a scaldare il cibo in gavetta, finisce con lo spaziare per altri e più vasti orizzonti. Il ruolo delle donne (l'Armata silente o seconda Armata) nel fronte interno; Clara Ferri, presidente dell'Organizzazione femminile; Bianca Nigra, madrina di guerra; Rosetta Navasco, altra donna impegnata; il "Ristoro del soldato" alla stazione di Lambrate, capace di nutrire 12 milioni di soldati in transito per il fronte; la costituzione dell'Opera nazionale dello scalda-rancio che ebbe ruolo essenziale in guerra e per il morale delle truppe, producendo in totale più di 600 milioni di preziosi rotolini.
L'Opera chiuse i bilanci in attivo nel 1919 e devolse gli utili agli orfani e ai reduci. Tenne fede al suo impegno a dispetto di mille avversità. Se ne erano persi memoria e ruolo, ma gli alpini milanesi vi hanno posto rimedio.