Enrico Toti
Storia e leggenda

R.G.

Fiumi d'inchiostro hanno scritto, in varie epoche e con diversi accenti, le vicende incredibili che hanno delineato la vita di Enrico Toti.

Matto, scavezzacollo, insubordinato, irruento, sanguigno, testardo, visionario, patriota ecc. è stato oggetto di svariati commenti ed etichette spesso ingiuste e non sempre comunque corrette.

Sicuramente era un precursore nei modi e negli atteggiamenti di chi si ritrovò a fare i conti con una menomazione e con la voglia di vivere una vita il più possibile normale, senza dover sottostare all'emarginazione sociale. Teniamo conto che stiamo parlando di un periodo a cavallo tra '800 e '900.

Nasce a Roma nel 1882. A quindici anni si imbarca su una nave come mozzo, Nel 1905 viene assunto come fuochista presso le Ferrovie dello Stato.
Il 27 marzo 1908 è mansionato a lavori di manutenzione su una locomotiva nella stazione di Colleferro, dove scivolando finisce con la gamba sinistra sotto gli ingranaggi del mezzo.

Viene trasferito in ospedale dove sono costretti ad amputargli la gamba all'altezza del bacino.
Sicuramente una menomazione di tale importanza avrebbe potuto causare un tracollo nell'esistenza di chiunque in quel periodo, specie per chi non poteva più sostenere un lavoro fisico e non era scolarizzato.

Ma Enrico era un giovane caparbio e proprio in seguito a quell'incidente moltiplicò la sua voglia di fare e di dimostrare di essere comunque in grado di compiere qualsiasi cosa, insomma di essere normale.
Nel 1911, dopo aver scoperto l'uso della bicicletta, decide di partire per un viaggio attraverso l’Europa con una bici da lui modificata per le sue esigenze. L'itinerario prevedeva: Francia, Paesi Bassi, Danimarca, Finlandia, Russia e Polonia, per poi fare ritorno in Italia l’anno successivo, nel 1912.
Pochi mesi dopo riparte. Destinazione Africa.
Egitto e Sudan dove viene fermato dalle autorità inglesi occupanti e, verificate le sue intenzioni ritenute troppo pericolose, visto che voleva addentrarsi in zone dove erano ancora presenti tribù di tagliatori di teste, fu rispedito a casa via Cairo, quindi Roma.

1915, l'Italia entra in guerra.

Enrico Toti vuole fare la sua parte e tenta di arruolarsi. Naturalmente la sua richiesta viene respinta.
A questo punto parte da solo con la sua bicicletta arrivando a Cervignano del Friuli, dove finalmente riesce a farsi inserire in un distaccamento destinato a servizi non attivi. Veste da militare ed indossa una sciarpetta per non far notare che non porta le mostrine.

Questo però non gli impedisce di recarsi spesso in prima linea, dove viene prontamente rispedito indietro sino a quando non viene fatto rientrare a Roma. Qui si scatena la sua indole battagliera e bussa a tutte le porte possibili per riuscire a farsi accettare come combattente. Scrive una lettera al Duca D’Aosta, comandante della III Armata. Questo un passo: “Le giuro che ho del fegato e qualunque impresa la più difficile se mi venisse ordinata la eseguirei senza indugio”.

Nel febbraio del 1916 viene finalmente destinato a Monfalcone ed affidato, non senza apprensione e contrarietrà, dal Mag.re Rizzo al Tenente Bolzon, che lo prende sotto la sua ala.
Eccolo quindi in trincea nel settore Cave di Selz, dove per la sua indole e risolutezza rimedia subito due ferite.

In seguito viene aggregato al 3° battaglione Bersaglieri ciclisti, nel settore del VII Corpo d’Armata del generale Tettoni. “Posso compiere il mio dovere e sono soddisfattissimo” scrive alla sorella, finalmente soldato tra i soldati, non più emarginato, si sente integrato ed accolto da pari inoltre può fregiarsi delle stellette.

Il 6 agosto del 1916, durante la battaglia dell’Isonzo, il 3°, il 4° e l’11° Bersaglieri sono spostati a quota 85 a est di Monfalcone per l’attacco a Gorizia. Nel corso di questo attacco Toti, ormai ferito a morte, avrebbe lanciato la sua stampella contro il nemico pronunciando la celebre frase “Nun moro io!“.

Il bersagliere fu portato nelle retrovie e quindi sepolto con tutti gli onori nel cimitero di Monfalcone.

Nel 1922 fu trasferito a Roma durante un viaggio dove ricevette, nelle varie città dove fu fatta fermare, gli onori di migliaia di persone. Il 24 maggio, all’arrivo a Roma, fu esposta nella camera ardente allestita nel Museo Storico dei Bersaglieri prima di essere tumulata nel Cimitero Verano.

Le circostanze del fatto non sono mai state chiarite completamente. Certo è che il regime nel dopoguerra esaltò la figura del combattente con la stampella a scopi propagandistici, ma è anche vero che l'uomo di per se rimane un eroe a prescindere. Capace di riprendere in mano la propria vita dopo la dura esperienza della pesante menomazione è riuscito con perseveranza e caparbietà a ricostruire la propria esistenza mettendola poi alla fine a disposizione della propria Nazione.

Il 4 dicembre 1916 viene decorato con la Medaglia d’Oro al Valor Militare con la seguente motivazione:

“Soldato Enrico Toti, da Roma, del 3° btg. bers, ciclisti. Volontario, quantunque privo della gamba sinistra, dopo aver reso importanti servizi nei fatti d’arme dell’aprile a quota 70 (est di Selz), il 6 agosto, nel combattimento che condusse all’occupazione di quota 85 (est di Monfalcone). Lanciavasi arditamente sulla trincea nemica, continuando a combattere con ardore, quantunque già due volte ferito. Colpito a morte da un terzo proiettile, con esaltazione eroica lanciava al nemico la gruccia e spirava baciando il piumetto, con stoicismo degno di quell’anima altamente italiana. Monfalcone,6 agosto 1916.”



Il sommergibile Enrico Toti della M.M. italiana è oggi visitabile
presso il Museo della Scienza e della Tecnica di Milano.