GORIZIA

Prof. Andrea Saccoman

I risultati della battaglia che cominciò il 6 agosto sono sintetizzati dai bollettini e non li ripeteremo.

Svolgeremo una serie di considerazioni sulla preparazione, sulla struttura di comando e sull’impostazione generale della battaglia.
Con la sesta battaglia dell’Isonzo e la presa di Gorizia l’esercito italiano per la prima volta dal maggio 1915 riuscì a passare per un breve momento alla guerra di movimento.
Per tutto giugno e luglio, mentre in Trentino si esauriva l’offensiva austriaca e si sviluppava la nostra controffensiva, le linee italiane sull’Isonzo furono rafforzate. La preparazione della battaglia fu molto curata: durò tre mesi e creò, oltre che i mezzi dell’attacco, quelli per migliorare l’esistenza materiale delle truppe. Furono costruiti, aumentati o migliorati depositi di viveri, ambulanze, cucine, condotte d’acqua, reti telefoniche, posti di corrispondenza, osservatori. Fu migliorata l’organizzazione dei mezzi aeronautici, aumentate e migliorate le batterie contraerei e i rifugi per le riserve. La sola 12a Divisione, per esempio, costruì 25 chilometri di fossati. Si realizzarono ricoveri ampi abbastanza da contenere intere brigate, piazzuole per bombarde, ricoveri per cannoni e depositi di munizioni.
Mezzi e reparti furono trasportati dal fronte trentino a quello dell’Isonzo sfruttando il vantaggio della manovra per linee interne, utilizzando per la prima volta in maniera degna di nota i mezzi automobilistici e riuscendo a mantenere l’operazione nascosta al nemico quanto bastò ad ottenere l’effetto sorpresa. In tutto questo vi furono indubitabili meriti del nostro Comando Supremo.

Luigi Capello, comandante del VI Corpo d’Armata, al quale fu affidato il ruolo più importante nell’offensiva, ebbe il merito di avere curato al meglio l’addestramento delle truppe e ai suoi comandanti di divisione il merito di avere dato perfetta attuazione alle direttive ricevute: i soldati impararono a marciare sotto l’arco della traiettoria dell’artiglieria, di modo che non fosse necessario interrompere il bombardamento poco prima dell’assalto delle fanterie.
Se una qualsiasi difficoltà avesse incagliato un reparto, gli altri non dovevano attardarsi per timore di perdere il contatto con esso, ma dovevano continuare ad avanzare, e dopo aver superato le prime trincee avversarie dovevano scendere all’Isonzo e passare oltre, lasciando solo truppe in osservazione attorno ai capisaldi nemici oltrepassati ma non ancora sopraffatti, perché alla loro eliminazione avrebbero provveduto i rincalzi sopraggiungenti e l’artiglieria.
L’assalto doveva procedere ad ondate: la prima doveva raggiungere la linea nemica ed oltrepassarla, la seconda spargersi a destra ed a sinistra dei varchi, le successive dovevano rafforzare le prime, catturare i prigionieri, eliminare le riserve nemiche, costruire nuove trincee. L’artiglieria doveva squassare il terreno vicino e lontano, sul fronte e sui fianchi delle truppe attaccanti; il genio doveva poi completare le necessarie distruzioni.
Il fuoco fu concentrato su un tratto di fronte relativamente breve ma fu estremamente violento e preciso. I grossi calibri, aperto il fuoco al segnale convenuto, lo diressero sui punti più delicati dello schieramento nemico. Molti mesi di paziente osservazione e l’azione dei servizi informativi avevano permesso di individuare la posizione di batterie, osservatori, camminamenti, grovigli, accessi ai ponti, linee telefoniche, luoghi di passaggio obbligato, residenze di comandi e magazzini austriaci.
Per la prima volta furono usate a massa le bombarde e i reticolati risultarono finalmente spianati in più punti. Le bombarde furono messe alle dirette dipendenze dei comandi di brigata per armonizzare il loro uso con le esigenze tattiche della fanteria.
Capello aveva sotto il suo comando ben sei divisioni (45a, 24a, 11a, 12a, 43a, 47a). Nel piano per la battaglia le azioni più importanti spettavano alle ali dello schieramento del suo corpo d’armata: a sinistra la 45a Divisione (Generale Giuseppe Venturi) e a destra la 12a (Generale Fortunato Marazzi), rispettivamente contro il Sabotino e contro il Podgora, i due pilastri della testa di ponte di Gorizia.
Ciò risulta chiaramente anche dai mezzi messi a disposizione delle due divisioni: all’alba del 6 agosto 1916 la 12a divisione aveva 217 pezzi di artiglieria, comprese 102 bombarde, e un totale di 592 ufficiali e 21.454 soldati presenti; la 45a aveva 241 pezzi d’artiglieria, 674 ufficiali e 22.555 uomini di truppa.
Come ha scritto Antonio Sema (La Grande Guerra sul fronte dell’Isonzo, Volume primo, pp. 217-218): «La sera del 6 agosto 1916 chiudeva una giornata diversa da tutte quelle che avevano scandito la guerra sull’Isonzo fino a quel momento: le previsioni fatte prima di una grande battaglia erano state coronate da successo, non completo, certo, ma indubbio, e, nei limiti dell’esperienza di quel fronte, più che consistente. Per la prima volta, anzi, il prosieguo dell’azione non richiedeva più di insistere sugli stessi obiettivi, ma di sfruttare i risultati conseguiti per andare avanti».

Il 7 agosto la difesa della testa di ponte austriaca si sgretolò. Nelle prime ore dell’8 agosto due strutture ottimizzate per la guerra di posizione si ritrovarono di colpo ad affrontare una battaglia dinamica ma il Comando Supremo non preparò tempestivamente truppe celeri da lanciare all’inseguimento del nemico. L’8 agosto 1916 le truppe della 12a divisione furono lanciate oltre l’Isonzo, e i suoi soldati furono i primi a entrare a Gorizia, ma la fanteria da sola, in gran parte senza riposo da quasi 48 ore, non poteva fare miracoli. Una verità inconfutabile, ma che nessuno poteva allora sapere, è che furono gli austriaci a decidere il momento e il luogo esatti dove ritirarsi.
Il momento opportuno per lanciarsi all’inseguimento sarebbe dovuto essere il cuore della notte sull’8 agosto, e al buio non si poteva fare granché. Gli austriaci, invece, fin dall’inizio della guerra avevano mostrato di essere in grado di operare meglio degli italiani nell’oscurità; inoltre si ritiravano lungo strade ben conosciute, in territorio non ostile, mentre gli italiani inseguivano letteralmente alla cieca.
All’alba Gorizia era già del tutto sgombra di austriaci. Le truppe italiane entrarono in una città vuota, non vi fu nessun combattimento dentro il centro abitato, i prigionieri fatti in città e poco a oriente erano un puro velo di retroguardie, e anche i civili rimasti in città erano circa 1.500, appena il 5% della popolazione presente prima della guerra e il 15% di quella presente prima dell’offensiva italiana.
Lo stesso comandante della 12a divisione si rese conto della situazione poco dopo le 7 del mattino dell’8 agosto, ma se anche avesse avuto in quel momento ai suoi ordini le truppe celeri che solo alcune ore dopo gli furono affidate e le avesse immediatamente lanciate all’inseguimento, era già troppo tardi, perché la ritirata austriaca era cominciata all’1.30, e aveva evitato proprio che la sconfitta si trasformasse in una rotta.
Alle cinque del pomeriggio dell’8 agosto tanto la cavalleria che i battaglioni bersaglieri ciclisti erano ancora sulla riva destra dell’Isonzo. I ciclisti passarono il fiume alle nove della sera, ma fino alle cinque e mezza del mattino successivo si limitarono a proteggere il gittamento di un ponte da parte dei genieri; la cavalleria passò sulla sponda sinistra alle 00.40 del 9 agosto.
Dal principio della guerra i generali italiani sognavano la possibilità di manovre napoleoniche, ma quando l’occasione si presentò, nessuno si dimostrò capace di sfruttarla. I fronti di battaglia erano più estesi che in qualsiasi altra guerra precedente e quindi non si poteva esercitare il comando con i portaordini; c’era il telefono, ma le comunicazioni erano spesso interrotte dai tiri delle artiglierie nemiche, e nuove linee telefoniche non potevano essere stese alla stessa velocità con la quale avanzavano le fanterie: vi era un limite oltre il quale le difficoltà delle comunicazioni divenivano tali da rendere inefficace l’azione di comando.
Non fu previsto tempestivamente lo spostamento in avanti delle artiglierie e quindi non appena le fanterie avanzarono oltre la gittata utile venne loro a mancare non solo la copertura ma anche l’appoggio di fuoco necessario per attaccare le nuove posizioni dell’avversario. D’altronde gli austriaci avevano fatto saltare quasi tutti i ponti, i guadi sull’Isonzo erano pochi e non utilizzabili per far passare sulla riva sinistra grandi quantità d’artiglieria di medio e grosso calibro. Anche la logistica si trovò quindi ad affrontare notevoli ostacoli, superabili solo se la possibilità di attraversare in forze il fiume fosse stata prevista con largo anticipo, ma non fu così. L’azione fu perfetta finché si trattò di eseguire il disegno operativo preparato da lungo tempo; allorché gli italiani si trovarono in una situazione dinamica, quando era necessario pensare ed agire con estrema rapidità, si manifestò l’inadeguatezza dei vertici militari.
Vi erano anche limiti organici. La divisione era l’unità tatticamente decisiva e tuttavia dipendeva troppo dai comandi superiori per essere in grado di sfruttare in autonomia le situazioni favorevoli createsi sul terreno della battaglia. Rimodellare la struttura della divisione avrebbe richiesto però una riflessione più profonda sulla natura di quella guerra, e quindi i limiti organici erano indizio di limiti di orizzonte mentale. Non che gli austriaci dimostrassero maggiore fantasia, anzi, ma loro dovevano solo difendersi mentre gli italiani dovevano vincere.
Il 10 agosto era chiaro che bisognava ricominciare con l’attacco metodico ma ci volle ancora una settimana di sanguinosi ed inutili attacchi frontali prima che il Comando Supremo italiano si rendesse conto della situazione e sospendesse l’offensiva.

I primi ad entrare in Gorizia, l'8 agosto 1916, furono i fanti del 28º fanteria "Pavia", comandati dal sottotenente Aurelio Baruzzi, medaglia d'oro al V.M. La brigata Pavia faceva parte della dodicesima divisione comandata dal generale Fortunato Marazzi, che per questa vittoria e altri meriti di guerra fu insignito della Croce di Savoia.

 



Medaglia d'Oro al Valore Militare

«Comandante di un reparto di bombardieri a mano, si slanciava per primo in un camminamento austriaco, catturandovi uomini e materiali. Due giorni dopo, accompagnato da soli quattro uomini, irrompeva in un sottopassaggio della ferrovia apprestato a difesa, contro il quale si erano spuntati gli attacchi dei due giorni precedenti, intimando audacemente la resa a ben duecento uomini, che venivano catturati unitamente a due cannoni e ricco bottino di armi e materiale. Più tardi partecipava al passaggio a guado dell’Isonzo, si spingeva in Gorizia e nella stazione innalzava la prima bandiera italiana.»