ore 21,05, martedì 21 novembre 1916
muore Francesco Giuseppe I d'Austria

Dott. Sergio Tazzer

Rigido, e rigoroso, prima di tutto verso sé stesso, pretendeva comportamento simile anche dai suoi collaboratori e, se possibile, anche dai suoi sudditi che avrebbe sognato tutti in divisa, come lui stesso scelse a tredici anni, quando abbracciò la vita militare.

Francesco Giuseppe d’Asburgo Lorena, imperatore d’Austria, re apostolico d’Ungheria, re di Boemia, re del Lobardo-Veneto, re di Dalmazia, Croazia e Slavonia, re di Galizia e Lodomiria, arciduca d’Austria, gran principe di Transilvania, conte di Gorizia e Gradisca, signore di Trieste, duca di Salisburgo, principe di Trento e Bressanone ecc. ecc., in via sua ne vide di tutti i colori.

Nato nel Castello di Schönbrunn il 18 agosto 1830, nello stesso palazzo a pochi passi dalla stanza in cui era venuto alla luce morì il 21 novembre 1916, all’età di 86 anni.


Francesco Giuseppe, maggio 1914

Aveva accettato la corona nell’anno delle rivoluzioni, il 1848, il 2 dicembre: non a Vienna (dove il 6 ottobre la folla in tumulto aveva linciato ed impiccato ad un lampione della centrale Am Hof il ministro della Guerra, il Feldzeugmeister Theodor-Franz Baillet-Latour) considerata ancora non sicura, ma nella pù tranquilla città morava di Olomouc (Olmütz), dopo l’abdicazione dello zio Ferdinando e la rinuncia al trono per padre Francesco Carlo.

Il sostegno dell’esercito gli fu garantito dal comandante militare della Boemia, il feldmaresciallo Alfred Candidus Winfisch-Graetz: un duro (Praga, assediata e bombardata dalle sue truppe nel giugno ’48, ancora lo ricorda).

Nei primi passi di monarca assoluto gli fu accanto un principe boemo, Felix zu Schwarzenberg, come fu un altro nobile boemo, il generale conte Jan Jozef Václav Radecký z Rádce, il suo mentore militare.

Sarebbe lungo anche solo sintetizzare la storia straordinariamente varia vissuta con una normalità disarmante, anche noiosa e sicuramente monotona, fra successi e sconfitte militari, un tentativo di regicidio, il matrimonio infelice con la cugina Elisabetta di Baviera, le alleanze internazionali mal sopportate, le rivolte popolari, i lutti in famiglia (la figlia primogenita Sofia morta di polmonite a Budapest, il fratello Massimiliano fucilato a Santiago di Querétaro, in Messico, il figlio Rodolfo suicida a Mayerling, la stessa moglie Sissi assassinata a Ginevra dall’anarchico Luigi Lucheni).

Apparvero il telegrafo, la luce elettrica, il telefono, il cinematografo, il fonografo, l’automobile (alla quale preferì la carrozza a cavalli): i tempi mutavano rapidamente, ma sopra tutto e tutti stava la sua figura divinizzata, riferimento di una quantità di etnie che magari fra esse mal si sopportavano ma che in lui, augusto imperatore, riuscivano a trovare un comune senso di rispetto, e forse anche di venerazione.

Il destino non gli fece mancare nulla e l’ultimo colpo fu l’assassinio a Sarajevo del mal sopportato nipote, erede al trono, Francesco Ferdinando e della consorte boema Žofie Chotková, ancor più malvista.

Ne seguì, com’è noto, il primo conflitto mondiale iniziato con la dichiarazione di guerra al riottoso e disordinato regno di Serbia, dopo l’ultimatum («La nota è molto dura», fece osservare al ministro degli Esteri, conte Leopold Berchtold) firmato a Bad Ischl, in Alta Austria, dove stava trascorrendo quell’estate torrida. Aggiunse borbottando – secondo l’aneddotica – al suo aiutante di campo, il generale di cavalleria Eduard Maria von Paar e ai presenti, fra i quali Berchtold giunto appositamente da Vienna: «La guerra! Lor signori non sanno cos’è la guerra! Io lo so, sono stato a Solferino».

Non era convinto di quella guerra caldeggiata e organizzata dal circolo militarista e bellicista ben rappresentato dal capo di stato maggiore, feldmaresciallo Franz Conrad von Hötzendorf, dal primo ministro austriaco Karl von Stürgkh, dal ministro della Guerra, generale Alexander von Krobatin, con la sottile regia del capo della diplomazia, Berchtold. Francesco Giuseppe percepiva che il suo impero non era più al passo con i tempi, vecchio al paragone con la dinamica Germania degli Hohenzollern.


Francesco Giuseppe durante una visita ufficiale in Slovacchia

Il conflitto esordì male in Serbia, con una serie di batoste inflitte al Cer ed a Kolubara dalle scalcagnate truppe serbe a quelle imperiali e regie del generale Oskar Potiorek. Per rimettere le cose a posto e sconfiggere re Pietro Karadordevic Vienna dovette aspettare fino all’ottobre 1915 l’intervento a fianco delle truppe austro-ungariche dell’armata tedesca agli ordini del generale sassone August von Mackensen da nord e delle divisioni bulgare da est. Sul fronte orientale le perdite contro i russi furono enormi, numeri inattesi. Infine, il 23 maggio 1915 l’Italia dichiarò guerra all’Austria-Ungheria, malmessa militarmente, fragile socialmente e politicamente.

Tuttavia la dichiarazione di guerra dell’Italia – die treulose Italien, l’Italia sleale – funzionò da sferzata all’orgoglio dell’impero. Francesco Giuseppe pregò – questa la formula – il primo ministro von Stürgkh di informare i suoi popoli di quanto accaduto, e ciò fu fatto affiggendo ovunque, anche nei borghi più remoti il proclama imperial-regio in tutte le lingue: «Il Re d’Italia mi ha dichiarato guerra. Un tradimento di cui la storia non conosce l’esempio fu consumato dal regno d’Italia contro i due alleati, dopo un’alleanza di più di trent’anni durante la quale l’Italia poté aumentare i suoi possessi territoriali e svilupparsi ad impensata floridezza. L’Italia ci abbandonò nell’ora del pericolo e passa con le bandiere spiegate nel campo dei nostri nemici». E avanti in questo tono sino a concludere che «il nuovo perfido nemico del sud non è un avversario sconosciuto: i grandi ricordi di Novara, Mortara, Custoza, Lissa, che formano la gloria della mia gioventù, lo spirito di Radetzky, dell’arciduca Albrecht, di Tegetthoff, che con le forze di terra e di mare vivono eternamente, ci sono garanzia che noi difenderemo vittoriosamente le frontiere della Monarchia anche verso il sud. Io saluto le mie truppe vittoriose ed agguerrite e confido in esse e nei loro condottieri. E confido nel mio popolo, il cui spirito di sacrificio senza esempio merita il mio più profondo ringraziamento. Prego l’Onnipotente che benedica le nostre bandiere e prenda la nostra causa sotto la Sua benigna protezione».

Fu l’ultima zampata del vecchio leone, la cui parabola terrena si stava avviando alla conclusione, mentre il suo impero alla fame si stava consumando.


Asiago distrutta, 1917

Sul fronte meridionale, contro il quale si infrangevano le spallate ordinate al regio esercito dal generale Luigi Cadorna, una delusione cocente gli fu provocata dalla Frühjahrsoffensive, l’offensiva di primavera combattuta tra il 15 maggio e il 27 giugno 1916 sugli altipiani vicentini, quella che noi conosciamo come Strafexpetidion, voluta da Conrad e che per l’esercito imperial-regio fu un fiasco. Un romagnolo di Lugo, il sottotenente Aurelio Baruzzi, conquistando l’8 agosto il sottopasso ferroviario di Gorizia e favorendo così l’ingresso nella città del regio esercito, gli rese ancor più amara l’estate del 1916.

Al suo crepuscolo, Francesco Giuseppe forse capì che i giochi sullo scacchiere della guerra erano conclusi, e non a favore degli Imperi Centrali.

L’amante Katharina Schratt, la «cara buona amica», che ad Hietzing dirigeva un convalescenziario per ufficiali feriti, non gli nascose che a Vienna si faceva la fame. Il 21 ottobre, mentre come tutti i giorni pranzava all’Hotel Meißl & Schadn nel centro di Vienna, il primo ministro von Stürgkh venne assassinato da Friedrich Adler al grido: «Vogliamo la pace! Abbasso l’assolutismo!». L’anziano imperatore rimase profondamente turbato, mentre i suoi problemi di salute stavano impensierendo la sua ristretta cerchia.

Il dottor Joseph von Kerzl, suo medico (anch’egli in divisa, essendo uscito dal Josephinum, l’accademia medico chirurgica militare di Vienna), diagnosticò la polmonite. L’11 novembre per telegramma fu avvisato l’erede al trono, Carlo, che si trovava in Germania per affrettarne il rientro. L’arciduchessa Maria Valeria, la figlia ultimogenita, decise di non muoversi da Schönbrunn. L’imperatore, molto indebolito, preferiva restare seduto, perché disteso la tosse lo tormentava.

Il Leikammerdiener, il cameriere personale Eugen Ketterl, non lo abbandonava un attimo e fece così in tempo a chiamare il cappellano. Questi riuscì a dare l’estrema unzione a Francesco Giuseppe, che con un colpo di tosse spirò: erano le ore 21 e 05 di martedì 21 novembre 1916.


Catafalco di Francesco Giuseppe

Giornate gelide disturbarono i sudditi che si recavamo a Schönbrunn a rendere omaggio alla salma del vecchio imperatore, che poi venne traslata nella Rittersaal della Hofburg, dove però non venne esposta dato che l’imbalsamazione era riuscita male.

Il 30 novembre una Vienna ingrigita da un cielo plumbeo assistette al passaggio dell’imponente carro funebre trainato da quattro cavalli Kladruby neri, ultimo omaggio di una Boemia indirizzata ormai alla sua indipendenza. Le campane di tutte che chiese suonavano a morto.

Nella capitale era disponibile solo un battaglione di fanteria, che rese gli onori militari al defunto sovrano.


Vienna, Hofburg, funerali Francesco Giuseppe

Dopo la cerimonia religiosa nella cattedrale di Santo Stefano officiata dal cardinale arcivescovo di Vienna Friedrich Gustav Piffl, il corteo funebre aperto dal nuovo imperatore Carlo e dalla imperatrice Zita prese la direzione della chiesa di Santa Maria degli Angeli che ospita la cripta dei Cappuccini.

Il gran ciambellano, conte Alfred von Montenuovo, bussò ben tre volte, iniziando dapprima a presentare il defunto con tutti i suoi titoli, trovando però l’uscio della cripta sbarrato. Poi si accontentò di specificare che si trattava dell’imperatore, senza risultato e con la stessa riposta di prima: «Noi non lo conosciamo». Infine, chiedendo da far entrare «Francesco Giuseppe, un povero peccatore che implora la misericordia di Dio», trovò la comprensione del frate guardiano che fece spalancare il portone, consentendo che il feretro fosse collocato nella Kaisergruft, la cripta imperiale. Il lungo regno di Francesco Giuseppe era proprio terminato.


I funerali di Francesco Giuseppe

Nel Palazzo reale di Gödöllo, in Ungheria, nel 1904 egli ebbe a dire che il suo impero era «un luogo di rifugio, un asilo per tutte le nazionalità divise, disperse nell’Europa centrale, che se dovessero contare sulle proprie risorse condurrebbero una misera esistenza diventando trastulli per i loro vicini più potenti».

Il 2 dicembre 1916 nella cappella dell’Hofburg fu recitato alla presenza del nuovo imperatore Carlo l’ultimo Requiem in sua memoria.

Fosse stato presente, avrebbe concluso come di consueto dopo ogni occasione formale cui partecipava:
«Es war sehr schöhn, es hat mir sehr gefreut», è stato molto bello, mi ha rallegrato molto.

© Sergio Tazzer