Prof.
Andrea Saccoman
Il
12 dicembre 1916 il cancelliere germanico Theobald von Bethmann
Hollweg diresse alle Potenze neutrali e al Papa una Nota, con
la quale affermava 1’invincibilità delle quattro
Potenze alleate (Germania, Austria-Ungheria, Impero Ottomano e
Bulgaria), che furono costrette a impugnare le armi per la difesa
della loro esistenza, della loro libertà e del loro sviluppo
nazionale, e dichiarava che esse non miravano a distruggere e
annientare i loro avversari e proponevano invece di entrare quanto
prima in negoziati di pace, ma senza indicarne le basi. Se, malgrado
questa offerta, la lotta fosse dovuta continuare, le quattro Potenze
alleate si dichiaravano risolute a condurla sino ad una fine vittoriosa,
ma respingevano solennemente ogni responsabilità di fronte
all’umanità e alla storia. Note eguali presentarono
anche le altre Potenze alleate della Germania.
Con la sua iniziativa, il cancelliere tedesco sperava di saldare
lo schieramento interno, mobilitare il desiderio di pace dei popoli
nel campo nemico per indebolire i loro governi, tranquillizzare
i governi neutrali, in primo luogo gli Stati Uniti, mostrando
la propria buona volontà, e avere un “alibi”
per la prosecuzione della guerra con ogni mezzo nel caso, preventivato,
di risposta negativa da parte delle potenze dell’Intesa.
Il giorno successivo l’on. Sidney Sonnino, Ministro degli
Esteri d’Italia, rispondendo alla Camera a una interrogazione,
confermò l’offerta tedesca di trattative di pace,
ma pregò di non chiedere di più, volendo che in
argomento tanto delicato i governi dell’Intesa procedessero
in pieno accordo anche nella forma e le consultazioni sull’argomento
tra Italia, Francia, Gran Bretagna e Russia erano appena cominciate.
Nonostante le pressioni di alcuni paesi neutrali, in special modo
la Svizzera, i Paesi dell’Intesa furono compatti nel voler
rispondere collettivamente in maniera negativa alla proposta tedesca.
Il 18 dicembre, alla Camera, Sonnino spiegò le ragioni
per le quali le proposte tedesche non potevano essere prese in
considerazione: negò che dalle Potenze nemiche fossero
state fatte conoscere le condizioni della pace; affermò
che tutti gli Alleati desideravano una pace durevole, fondata
su un giusto equilibrio fra gli Stati, sul rispetto del principio
di nazionalità, sulle norme del diritto delle genti e delle
ragioni dell’umanità e della civiltà, e smentì
che le Potenze nemiche avessero dovuto impugnare le armi per la
loro difesa. La Camera votò quasi all’unanimità
l’affissione del discorso del Ministro degli Esteri e approvò
con 352 voti contro 42 e 3 astenuti un ordine del giorno di fiducia
nel Ministero.
Alla sera dello stesso giorno, ora di Washington, il presidente
degli Stati Uniti, Thomas Woodrow Wilson, appena rieletto, inviò
ai belligeranti una nota, pubblicata sui giornali italiani il
23 dicembre, nella quale chiedeva loro di manifestare le rispettive
vedute sulla pace, nella speranza potessero trovare un terreno
comune di discussione.
I tedeschi opposero un rifiuto: occupavano il Belgio, la Polonia,
la Serbia e la Romania e speravano di mantenere almeno una parte
delle loro conquiste. Non erano perciò disposti ad accettare
una mediazione americana che valutasse i loro scopi di guerra.
Le potenze dell’Intesa, invece, cercarono di tirare gli
americani dalla loro parte escogitando dei termini che incontrassero
l’approvazione di questi ultimi. Per toccare il sentimento
degli americani era necessario fare appello a dei grandi principi.
E il grande principio era «l’autodeterminazione
dei popoli» e la «liberazione della nazionalità
oppresse».
Il 10 gennaio 1917 dichiararono perciò i loro scopi bellici
chiedendo la ricostituzione del Belgio e della Serbia e la liberazione
dei territori occupati in Romania, Russia e Francia, ma soprattutto
“la liberazione degli italiani, come pure degli slavi, rumeni
e cecoslovacchi, dalla dominazione straniera, e l’affrancamento
delle popolazioni soggette alla feroce tirannia turca”.
La guerra veniva ora messa su un piano ideologico e perciò
molto meno aperta a soluzioni di compromesso come nei “semplici”
conflitti di potenza dei due secoli precedenti, dove l’essenza
diplomatica era costituita dalla transazione sempre possibile
e dalla ricerca dell’equilibrio.
|