Prof. Andrea Saccoman
Nella decima battaglia dell’Isonzo (12-31 maggio 1917),
il generale Cadorna era tornato a quello che nell’essenza
era sempre stato il suo piano, e cioè agire lungo la direttrice
della valle del fiume Vipacco. Chiunque abbia una conoscenza del
terreno dove si svolsero i combattimenti tra il maggio 1915 e
l’ottobre 1917 può facilmente comprendere come quello
fosse l’unico punto del fronte italiano dove una offensiva
vittoriosa poteva risolversi in uno sfondamento in grado di minacciare
il cuore della duplice monarchia.
Però un’offensiva del genere non poteva certo svilupparsi
come una semplice puntata a testa bassa lungo il fondovalle. Per
assicurare il successo era necessario il possesso delle alture
della riva destra e delle riva sinistra. Per ottenere il possesso
delle alture di destra (cioè sul lato sinistro per chi
guardava dal fronte italiano) si dovevano conquistare gli altipiani
della Bainsizza e di Tarnova. Per il possesso delle alture di
sinistra (cioè a destra viste dal lato italiano) bisognava
impadronirsi dell’orlo settentrionale del Carso, in primis
del monte Hermada, perno della difesa del litorale adriatico.
La Bainsizza, però, è un altipiano con i bordi rilevati,
e proprio sul versante sud-ovest presenta una serie di monti quasi
a picco sull’Isonzo, la linea Kuk-Vodice-Monte Santo.
Se un vero e proprio sfondamento non si fosse verificato, si poteva
pur sempre sperare di raggiungere la linea Vallone di Chiapovano-Monte
Hermada, che sarebbe stata una salda linea di difesa contro un
eventuale attacco in forze del nemico. Con il cedimento della
Russia sempre più evidente dopo la rivoluzione di marzo,
tale eventualità diveniva molto probabile.
Durante la decima offensiva dell’Isonzo riuscì la
conquista del Kuk e del Vodice da parte della truppe della “Zona
di Gorizia” (un complesso di quattro corpi d’armata)
al comando del Generale Luigi Capello. Nel settore carsico, la
Terza Armata del Duca d’Aosta avanzò di alcuni chilometri
e pur senza riuscire nella conquista dell’Hermada vi si
avvicinò a soli 2250 metri.
Dall’altra parte del fronte, il generale Svetozar Boroevic,
comandante dell’Isonzo Armee, utilizzando alcune divisioni
fresche giunte dal fronte russo, preparò un contrattacco
per dare respiro al bastione difensivo troppo da presso minacciato.
Il 1° e il 2 giugno 1917 l’artiglieria austriaca intensificò
la propria attività. Dopo prolungato bombardamento, la
sera del 3 giugno gli austriaci attaccavano il tratto Monte Faiti-Castagnevizza.
Nel settore di Castagnevizza l’attaccò fu completamente
respinto da truppe della 4a divisione, comandata dal generale
Giuseppe Paolini. Sul Monte Faiti, invece, gli austriaci riuscivano
in un primo momento a soverchiare le difese italiane, ma verso
mezzogiorno del 4 giugno le brigate Tevere e Massa Carrara, con
tre successivi e brillanti contrattacchi, ristabilivano pienamente
la situazione.
Alle 4 antimeridiane in punto di quello stesso 4 giugno 1917 ebbe
inizio l’azione principale contro le linee tenute dal VII
Corpo d’Armata (divisioni 16a, 20a, 45a), comandato dal
generale Adolfo Tettoni. Il bombardamento d’artiglieria
durò solo quaranta minuti ma fu violentissimo. I collegamenti
telefonici furono distrutti, quelli ottici impediti dal denso
fumo, i compiti dei portaordini vanificati dalla rapidità
degli eventi. Insomma, un autentico, totale collasso delle comunicazioni.
I soldati nelle loro postazioni, a parte i morti e i feriti, erano
del tutto frastornati.
Al termine del bombardamento sei battaglioni d’assalto austriaci
scattarono in avanti, utilizzando una tattica aggiornata, ovvero
penetrando nei punti di minore resistenza e avanzando senza insistere
sui punti più resistenti, i quali sarebbero caduti successivamente
per manovra.
Alcuni battaglioni italiani erano ricoverati in due gallerie della
ferrovia Trieste-Monfalcone, subito dietro la prima linea. Gli
austriaci penetrarono nel punto di giunzione tra la 16a e la 20a
divisione dove, appena poche ore prima, il III Battaglione del
71° Reggimento Fanteria (Brigata Puglie), con 320 uomini e
10 mitragliatrici, aveva sostituito in linea il II Battaglione
dell’86° Reggimento Fanteria (Brigata Verona), forte
invece di 600 uomini e 21 mitragliatrici. Gli austriaci si infiltrarono
proprio fra le larghe maglie della difesa del III/71°, avvolsero
ed occuparono quota 135 e si diressero verso l’imbocco della
galleria ferroviaria meridionale. Contemporaneamente dilagavano
alle ali, prendendo alle spalle gli altri due battaglioni del
71° Reggimento. Cercando di coordinare la difesa, restavano
gravemente feriti e furono fatti prigionieri il Colonnello Brigadiere
Fulvio Riccieri, comandante della Brigata Puglie, e il Colonnello
Mario Costa, comandante del 71° fanteria. Riccieri morì
in prigionia, a Duino, il 22 giugno successivo. E con le mitragliatrici
puntate sugli sbocchi delle gallerie gli austriaci costrinsero
alla resa il II, III e IV battaglione dell’86° fanteria,
trovatisi in condizioni letteralmente infernali.
In maniera simile gli austriaci penetrarono nel punto di giunzione
tra la 16a e la 20a divisione, investendo dapprima il I e poi
il II Battaglione del 246° fanteria (Brigata Siracusa).
Al termine della giornata, nel settore compreso fra il vallone
di Brestovizza e il mare Adriatico (foci del Timavo) la linea
italiana dovette arretrare da un minimo di 250 fino a un massimo
di 1500 metri, in linea d’aria. Gran parte dei guadagni
ottenuti dalla Terza Armata nel corso della decima battaglia erano
andati perduti e il nemico aveva ottenuto lo scopo di dare maggior
respiro alla difesa dell’Hermada. A nulla valsero i tentativi
italiani di riprendere le posizioni perdute nel corso delle giornate
del 5 e 6 giugno.
In quattro giorni (3, 4, 5, 6 giugno 1917) la Terza Armata ebbe
56 ufficiali morti, 262 feriti e 289 dispersi. Le perdite fra
i militari di truppa furono 1348 morti, 7665 feriti e 12268 dispersi,
molti dei quali in verità morti. In totale 21.888 uomini
fuori combattimento.
Nell’insieme dei combattimenti dal 12 maggio al 6 giugno
l’esercito italiano perse 112.000 uomini (ma alcune stime
si spingono fino a 150.000 uomini). Per l’esercito imperialregio
le stime variano da 75.000 a 90.000 uomini. Le cifre si riferiscono
ovviamente alla somma di morti feriti e dispersi (dicitura che
comprende anche i prigionieri).
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