Prof.
Andrea Saccoman
Alle 23,30 del 25 ottobre 1917 il Tenente Generale
Alberto Cavaciocchi fu sostituito al comando del IV Corpo d’Armata
dal Generale Asclepia Gandolfo1. Cavaciocchi fu il
primo generale ad essere rimosso per la rotta di Caporetto, ed
anzi proprio mentre la battaglia ancora infuriava. Tutti, o quasi
tutti, hanno sentito nominare Cadorna, Capello e Badoglio, ma
non tutti sanno chi era Cavaciocchi.
Alberto
Cavaciocchi era nato a Torino il 31 gennaio 1862. Il padre, Francesco
Daniele, era un funzionario civile del Ministero della Guerra
di origini fiorentine. Dopo aver frequentato il Collegio militare
di Firenze, nell’autunno del 1878 entrò all’Accademia
militare di Torino, dalla quale uscì il 31 luglio 1881
come sottotenente di artiglieria. Per evitare disparità
di trattamento con i colleghi usciti dalla Scuola di Fanteria
e Cavalleria di Modena, che diventavano sottotenenti dopo soli
due anni di studi, agli allievi dell’Accademia Militare
l’anzianità veniva retrodatata, perciò l’anzianità
di servizio di Alberto Cavaciocchi datò dall’11 luglio
1880.
Dopo aver superato i corsi della Scuola di Applicazione nel giugno
1883, fu promosso tenente (anzianità 28 agosto 1882) e
inviato a prestare servizio nel 17° reggimento artiglieria
da fortezza, passando poi al 7° reggimento artiglieria da
campagna. Tra l’autunno 1885 e l’estate 1888 frequentò
e superò i corsi della Scuola di guerra di Torino, e passò
poi al 18° reggimento artiglieria.
L’11 ottobre 1888 fu promosso capitano e l’anno appresso,
dopo aver superato il corso semestrale di esperimento, fu chiamato
nel Corpo di Stato Maggiore. Tra il 1889 e il 1892 prestò
servizio presso il comando della Divisione Militare di Roma e
tra il 1892 e il 1897 presso il comando del I Corpo d’Armata
(Torino).
Promosso Maggiore «a scelta» (grazie al brevetto della
Scuola di Guerra) con anzianità 26 agosto 1897, comandò
per circa un anno e mezzo un battaglione del 41º reggimento
fanteria (Brigata Modena, alla fine di settembre trasferita con
entrambi i reggimenti a Torino). Poi fu per un anno sottocapo
di Stato Maggiore del IV corpo d’armata (Genova), per un
altro anno presso il comando del Corpo di Stato Maggiore, Reparto
Operazioni, quindi insegnante di organica alla Scuola di guerra
(che stava a Torino) dal 1901 al 1906 (promosso tenente colonnello
con anzianità 19 dicembre 1901) e dal 1906 al 1910 fu capo
dell’Ufficio storico dell’esercito (promosso colonnello
con anzianità 3 febbraio 1907).
Fin dal 1899 aveva pubblicato numerosi studi di storia militare
dedicati ad analisi di aspetti delle guerre napoleoniche e risorgimentali
e a questioni inerenti lo sviluppo dell’esercito italiano.
Come capo dell’Ufficio storico diede un impulso decisivo
all’istituzione. Fece completare la relazione ufficiale
sulla campagna del 1848-49 con la pubblicazione di quattro volumi
di documenti, curò la preparazione e pubblicazione della
relazione ufficiale sulla campagna del 1859 e di un volume integrativo
sulla campagna del 1866 (Complemento alla storia della campagna
del 1866).
Nell’aprile 1910 assunse il comando del 60° reggimento
di fanteria, a Viterbo, col quale nel marzo 1912 partì
per la Tripolitania. Si distinse nello sbarco a Macabez il 10
aprile e nella battaglia di Sidi Said del 27 giugno 1912, ottenendo
per questo fatto d’armi la croce di Ufficiale dell’Ordine
militare di Savoia; promosso maggior generale il 12 luglio 1912,
comandò la I brigata mista nelle operazioni per l’occupazione
di Zuara e poi la VI brigata speciale nella zona di Tripoli.
Nel maggio 1913 passò con la sua brigata in Cirenaica,
guadagnando la medaglia d’argento nel combattimento di Ettangi
(18-19 giugno 1913) e prendendo parte attiva alle operazioni nella
zona di Derna e poi di Cirene. Rimpatriato in Italia all’inizio
di luglio del 1914, tenne il comando della brigata Brescia fino
all’8 novembre, quando assunse la direzione dell’Istituto
Geografico Militare a Firenze.
Nel maggio 1915 fu nominato capo di Stato Maggiore della 3ª
armata. Il 22 luglio 1915 passò a comandare la 5ª
divisione assumendo la responsabilità della difesa del
settore Valtellina-Valcamonica (promosso tenente generale con
anzianità 1° ottobre 1915). nell’aprile-maggio
1916 diresse brillantemente il consolidamento della linea italiana
con operazioni offensive ad altissima quota nella zona dell’Adamello.
Dal 6 giugno al 7 novembre 1916 comandò il XXVI corpo d’armata,
dapprima in riserva nella pianura vicentina, poi dall’agosto
nella posizione di Castagnevizza e delle pendici del San Marco,
partecipando ai combattimenti autunnali. Il 9 novembre 1916 assunse
il comando del IV corpo d’armata, con sede a Creda. Esso
era il più settentrionale ed esteso della 2ª armata,
e copriva settore di fronte che andava dal monte Rombon alla riva
dell’Isonzo a monte della testa di ponte di Tolmino. Alla
vigilia dell’offensiva austro-tedesca si componeva della
50ª, 43ª, 46ª e 34ª divisione. Quest’ultima
però era passata alla dipendenza del IV C.d’A. solo
nella giornata del 23 ottobre, distaccata dal VII C.d’A.
(Generale Luigi Bongiovanni), ed era composta dalla sola Brigata
Foggia, e senza artiglierie, né Genio, né servizi.
Tenuto conto che molti reparti erano sotto organico per licenze,
distaccamenti di servizio, ricoveri anche non gravi nelle infermerie,
e che doveva tenere un fronte di circa 40 chilometri, le truppe
del Corpo d’Armata erano insufficienti per sostenere un
attacco in grande stile.
Il 24 ottobre 1917, dopo che furono travolte le difese della 19ª
Divisione, appartenente al XXVII C.d’A. comandato dal Generale
Pietro Badoglio, schierato all’immediata destra del IV Corpo,
l’unità di Cavaciocchi ricevette in pieno l’urto
dell’offensiva austro-tedesca. Il grosso delle truppe andò
perduto nella stessa giornata del 24 e Cavaciocchi, come detto,
fu esonerato dal comando la sera del 25 ottobre 1917.
La Commissione d’inchiesta su Caporetto gli fece carico
di «non aver tenuto un più intimo contatto col VII
corpo d’armata, trascurando gli accordi che, mentre avrebbero
potuto a questo chiarire la necessità di opportune predisposizioni,
avrebbero reso meno arduo il concorso, a rincalzo del IV corpo,
di forze sia pure limitate ma atte a trattenere il rapidissimo
progresso germanico pel fondo valle Isonzo»2
.
Il governo presieduto da Francesco Saverio Nitti decise di attuare
provvedimenti. Il 2 settembre 1919 Cavaciocchi fu «collocato
a riposo per anzianità di servizio ed iscritto nella riserva,
previa deliberazione del Consiglio dei ministri», come i
generali Cadorna, Porro e Capello. Altri generali implicati ebbero
sanzioni minori (Montuori e Bongiovanni) o nessuna sanzione (Badoglio).
Il comandante del IV corpo fu così additato come uno dei
principali responsabili della rotta.
Il giudizio della Commissione d’inchiesta, del governo e
della stessa opinione pubblica, che fu stimolata ad accettare
la chiusura del dibattito su Caporetto in nome della concordia
nazionale, era influenzato da considerazioni politiche, che volevano
ad ogni costo responsabilità specifiche della sconfitta,
per assolvere le forze armate come organismo e la condotta politica
della guerra.
A cento anni di distanza gli studiosi seri ritengono che, nell’insieme,
tutti gli alti comandi dell’esercito italiano furono sorpresi
dalla profondità e rapidità della penetrazione austro-tedesca:
con una formula semplice, presi in contropiede. Le accuse rivolte
a Cavaciocchi al tempo andrebbero ridimensionate, ma non è
nemmeno possibile ritenerlo indenne da ogni addebito: qualsiasi
generale che perda il proprio corpo d’armata in meno di
ventiquattr’ore non può esimersi dal portarne la
responsabilità. Gli va però riconosciuto il buon
gusto di non aver mai riversato la colpa della sconfitta sulle
proprie truppe.
Il 1° dicembre 1919 Cavaciocchi indirizzò al Senato
una petizione in cui chiedeva il riesame della sua posizione,
sostenendo che il suo corpo era stato travolto per la penetrazione
realizzata con inaspettata facilità dagli Austro-tedeschi
attraverso il corpo di Badoglio: secondo Cavaciocchi proprio la
decisione preconcetta di scagionare questo generale aveva portato
fuori strada la Commissione d’inchiesta.
L’esame della petizione fu affidato ad una commissione composta
dai senatori Oronzo Quarta e Guglielmo Pecori Giraldi (che era
anche generale d’esercito) e dal generale Francesco Pistoia,
già deputato alla Camera. Nella primavera 1921 la Commissione
concluse i suoi lavori diminuendo le responsabilità di
Cavaciocchi. Il ministero cambiò il collocamento a riposo
in collocamento in posizione ausiliaria. Cavaciocchi però
non fu soddisfatto e nel 1922 si rivolse al ministro della Guerra
Luigi Gasparotto, senza successo, e infine alla Camera con una
petizione del dicembre 1924. La Giunta per le petizioni stava
ancora esaminando la pratica quando Cavaciocchi morì improvvisamente,
per infarto, a Torino il 3 maggio 1925.
Forse anche per le delusioni ricevute dai governi del dopoguerra
si era avvicinato al fascismo, divenendo presidente della corte
di disciplina della federazione fascista torinese.
Con un decreto pubblicato il 19 febbraio 1929 ma datato 30 aprile
1925 Vittorio Emanuele III gli concesse Motu proprio l’onorificenza
postuma di Cavaliere di Gran Croce decorato del Gran Cordone dell’Ordine
della Corona d’Italia.
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1 - L’esercito italiano nella Grande
Guerra (1915-1918), volume IV,
Le operazioni del 1917, tomo 3°, Gli avvenimenti
dall’ottobre al dicembre, Roma, Stato Maggiore dell’Esercito
- Ufficio Storico, 1967, p. 341. Cfr. Alberto Cavaciocchi,
Un anno al comando del IV Corpo d’Armata, a cura di
Andrea Ungari, Udine, Gaspari editore, 2006, p. 181.
2 - Dall’Isonzo al Piave
24 ottobre-9 novembre 1917, Relazione della Commissione d’Inchiesta
R. Decreto 12 gennaio 1918 n. 35, volume secondo, Le cause
e le responsabilità degli avvenimenti, Roma, Stabilimento
Poligrafico per l’Amministrazione della Guerra, 1919, p.
557.
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