Prof. Marco Cimmino
La
breve storia di Natale che vi voglio raccontare è una storia
che di natalizio, almeno per come intendiamo oggi il significato
di questa parola, ha poco o niente. Eppure, è una storia
di amore fraterno e, trattandosi di una storia alpina, di quasi
inevitabile coraggio. E’ la storia dei due fratelli Garrone,
Giuseppe ed Eugenio, che morirono a pochi giorni
di distanza uno dall’altro, tra il dicembre del 1917 ed
il gennaio del 1918, e furono insigniti entrambi della massima
onoreficenza del Regio Esercito: la medaglia d’oro al valor
militare. I due Garrone erano vercellesi: classe 1886 il primo
e di due anni più giovane il secondo. Entrambi erano animati,
come molti giovani della loro generazione, da forti sentimenti
patriottici e da un senso del dovere che li aveva portati ad impegnarsi
allo spasimo anche nella loro professione civile, prima della
guerra: uno magistrato e l’altro funzionario della pubblica
istruzione. Ma ciò che rese straordinaria l’esistenza,
certamente esemplare ma non eccezionale, dati i tempi, di questi
due alpini è, soprattutto, la loro fine. Entrambi erano
stati riformati, in prima istanza, per esilità toracica,
ma, a forza di insistere, riuscirono ad essere arruolati per quella
che ritenevano essere la quarta guerra d’indipendenza: Giuseppe
divenne ufficiale degli alpini, e combattè valorosamente,
mentre Eugenio venne arruolato dapprima in fanteria, facendosi
anche lui onore, per poi raggiungere, con il grado di tenente,
il fratello, comandante della 6a compagnia del “Tolmezzo”,
per combattere l’ultima battaglia. Durante i feroci scontri
del dicembre 1917, sul Monte Grappa, i due Garrone si trovarono
coinvolti nei violentissimi combattimenti per il possesso del
Col della Berretta, da cui il loro reparto uscì gravemente
decimato. Era la battaglia d’arresto che, in pratica, decise
l’esito del conflitto sul fronte italiano: come una piovra,
i reparti austro-tedeschi cercavano di avvolgere le numerose cime
del Grappa, mentre gli Italiani glieli contendevano, lottando
con disperata energia. Nel corso di uno di questi violentissimi
assalti e contrassalti, il 14 dicembre 1917, il capitano Pinotto
Garrone, che aveva condotto i propri alpini in una serie infinita
di contrattacchi per riprendere la cima sanguinosa del colle,
già gravemente ferito, moriva, tra le braccia del fratello.
Eugenio, ferito a sua volta, non lo aveva voluto abbandonare in
mano avversaria ed era rimasto insieme a lui, quando gli Italiani
avevano dovuto cedere terreno. Poco tempo prima, prevedendo la
durissima prova cui sarebbe stato sottoposto il suo reparto, il
capitano Garrone non lo aveva voluto abbandonare, rifiutando la
nomina a giudice militare, che lo avrebbe condotto lontano dai
suoi alpini. Così, i due fratelli giunsero insieme alla
prova definitiva, quella che ti porta faccia a faccia con la Strìa.
Catturato dagli Austriaci, Eugenio venne trasportato nelle retrovie,
fino all’ospedale militare di Salisburgo, dove morì,
il giorno dell’Epifania, ammirato ed onorato dagli stessi
avversari: ci piace credere che il dolore per la morte del carissimo
fratello abbia, di fatto, reso fatale la pur grave ferita che
Eugenio aveva sofferto. Così, morirono i due Garrone, Italiani
perbene, di umile famiglia, ma di elevati ideali e di carattere
a tutta prova: morirono da fratelli che si vogliono bene e da
alpini, che vogliono bene al battaglione e ai propri soldati,
ma che, soprattutto, fanno del compimento del proprio dovere un
giuramento ferreo. Oggi, in un’Italia che preferisce non
ricordare i suoi uomini migliori, forse per non dover fare imbarazzanti
confronti con gli Italiani del presente, il povero scriba vi propone
la memoria di questi due ragazzi piemontesi, che morirono cento
anni fa e che, da allora, sono abbracciati in eterno, come lo
furono sulle groppe devastate del Col della Berretta. Come vi
dicevo, forse non è una storia natalizia: però,
è una bella storia.
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