Bombardamento
su Venezia
e rappresaglia italiana

Prof. Andrea Saccoman

Tra le 19 e la mezzanotte di domenica 24 febbraio 1918, in tre ondate successive, bombardieri austro-tedeschi Gotha gettarono su Venezia 27 bombe, mirando al patrimonio storico-artistico della città. Alcune bombe affogarono nei canali e nei rii, altre rimbalzarono su calli, campi e campielli. Furono colpiti alcuni locali pubblici, una bomba scheggiò la statua di Carlo Goldoni in Campo San Bartolomio. Vi furono in tutto tre morti e nove feriti, ma i danni complessivi furono relativamente lievi. Da parte dell’aeronautica italiana scattò quindi un’azione di rappresaglia contro la città di Bolzano, già pianificata, che fu eseguita nella notte fra il 26 e il 27 febbraio 1918.
La prima ondata d’attacco, composta da otto trimotori Caproni Ca. 3 del XIV Gruppo, decollò dal campo d’aviazione di Padova alle 18,25 del 26 febbraio 1918, ma dopo circa un’ora di volo tre velivoli dovettero rientrare per noie ai motori e per lo stesso motivo un quarto aeroplano si liberò delle bombe sui baraccamenti di Caldonazzo e sulla stazione ferroviaria di Pergine Valsugana. A Bolzano arrivarono in quattro e sganciarono sulla stazione venti granate-mine e otto bombe incendiarie da 162 millimetri. La città era illuminata e anche da tremila metri di quota gli equipaggi riuscivano a distinguere le tettoie dello scalo ferroviario e il tracciato delle strade e delle piazze. Non vi fu alcuna reazione nemica anche se sulla via del ritorno un apparecchio fu colpito da raffiche di mitragliatrice sorvolando Cima Portule riportando lievi danni. Un altro perse la rotta a causa della scarsa visibilità e dovette compiere un atterraggio di fortuna a Cavanella Po in provincia di Rovigo: l’equipaggio ne uscì del tutto illeso ma l’apparecchio andò distrutto.
La seconda ondata di trimotori, appartenente al IV Gruppo, decollò dal campo di San Pelagio a sud di Padova alle 20,12. Appena superata la linea del fronte, uno dei velivoli si trovò in difficoltà per l’arresto di un motore e si liberò del carico di bombe ancora sulla stazione di Pergine prima di tornare alla base. Gli altri sette apparecchi arrivarono tutti a Bolzano e sganciarono il loro carico bellico, 42 granate-mina, sul ponte ferroviario sul fiume Isarco. Anche in questo caso i problemi più grossi si riscontrarono al rientro. Due velivoli finirono fuori rotta e dovettero compiere atterraggi di emergenza, uno a Poggio Renatico e l’altro in valle Contarina nella zona meridionale della laguna di Venezia: quest’ultimo velivolo capottò, intrappolando il tenente pilota Giovanni Battista Pittaluga, che morì annegato nel pantano.
La terza ondata, formata da tre apparecchi dell’XI Gruppo, si alzò in volo dal campo di Verona alle 22,15. Uno dovette tornare indietro per il solito guasto al motore, gli altri due completarono la missione sganciando ancora sul ponte dell’Isarco un totale di dodici granate-mina.
Il comando italiano aveva dato ordine tassativo di non colpire per alcun motivo la città di Trento e concentrare gli sforzi sui due bersagli previsti a Bolzano, stazione e ponte ferroviario, a mostrare che la politica della rappresaglia mirava solo a obiettivi militari ed evitava attacchi indiscriminati acontro la popolazione civile e il patrimonio artistico, in modo da evidenziare al massimo la “barbarie” del nemico che invece, nella stessa notte, replicava l’attacco “terroristico” sul centro storico di Venezia con ben 65 velivoli e sganciando circa trecento bombe, provocando solo un morto e due feriti, ancora una volta senza gravi danni al patrimonio artistico quanto agli edifici monumentali, ma con molti più edifici e strutture urbane danneggiate rispetto all’incursione di quarantott’ore prima.