Prof. Andrea Saccoman
Viene firmato il trattato
di pace di Brest-Litovsk
Alle ore 17 del 3 marzo 1918 fu firmato a Brest-Litovsk il trattato
di pace tra i bolscevichi e gli Imperi Centrali. Per quanto avessero
tentato di tirare per il lungo le trattative, sperando che scoppiasse
la rivoluzione anche negli altri paesi in guerra, i bolscevichi
dovettero alla fine accettare la dura realtà del campo
di battaglia. Di fronte alle tergiversazioni bolsceviche, meno
di due settimane prima i tedeschi avevano ripreso ad avanzare
senza quasi trovare resistenza, avevano catturato più o
meno 63.000 soldati russi, 2600 pezzi d’artiglieria e 5000
mitragliatrici. Fino a tutto il 2 marzo le forze tedesche continuarono
ad avanzare verso est ed erano sul punto di arrivare a Pietrogrado.
A quel punto i bolscevichi cedettero.
La Russia rinunciò a tutte le pretese sulle province baltiche,
sulla Polonia, sulla Russia Bianca (oggi Bielorussia), la Finlandia,
l’Ucraina e il Caucaso. Perdette un terzo della popolazione,
un terzo delle terre coltivabili, i nove decimi delle miniere
di carbone. Venivano ceduti quasi tutti i territori che la Russia
aveva inglobato a partire dai tempi di Pietro il Grande. Il Kaiser
festeggiò l’avvenimento stappando una bottiglia di
champagne.
La Russia perse anche tutte le basi navali sul Mar Baltico, tranne
Kronštadt. Era previsto che le navi da guerra della flotta
del Mar Nero fossero disarmate e internate. I bolscevichi acconsentirono
anche all’immediata liberazione di tutti i prigionieri di
guerra, alla restituzione alla Turchia di ogni palmo di territorio
conquistato nel corso della guerra e alla cessazione di qualsiasi
agitazione e propaganda rivoluzionaria negli Imperi centrali,
in Finlandia e in Ucraina.
Il 5 marzo 1918 anche i romeni firmarono un trattato con gli imperi
centrali a Buftea, cedendo la Dobrugia meridionale alla Bulgaria,
ottenendo in cambio l’ex provincia russa della Bessarabia,
a patto che fossero riusciti a sottrarla al controllo bolscevico.
Tra il 6 e l’8 marzo 1918 si riunì a Pietrogrado
un congresso del partito bolscevico, nel quale Lenin sostenne
la necessità di accettare e ratificare il trattato, e forzò
con decisione la mano ai suoi compagni minacciando di dimettersi.
Fu così approvato con 28 voti a favore, 12 contrari e 4
astenuti, il seguente ordine del giorno: «La ratifica della
pace più oppressiva e umiliante è necessaria data
l’incapacità del nostro esercito e la necessità
in cui ci troviamo di approfittare di qualsiasi occasione per
guadagnare un momento di respiro e prepararci all’assalto
dell’imperialismo contro la Repubblica sovietica».
Di lì a poco sarebbe scoppiata la guerra civile russa.
Nello stesso congresso fu anche cambiato nome al partito, ribattezzato
«comunista».
La ratifica formale e definitiva del trattato di pace fu votata
il 15 marzo 1918 dal quarto congresso panrusso dei soviet, con
784 sì, 261 no e 115 astenuti. Il 12 marzo 1918, poiché
i tedeschi sul Baltico erano oramai troppo vicini, la capitale
fu trasferita da Pietrogrado a Mosca.
La rivoluzione russa, che dal marzo del 1917 si era diffusa con
una marcia trionfale sul territorio dell’antico impero degli
zar, fu obbligata a retrocedere di fronte al militarismo tedesco
ancora solido e intatto. L’arma della propaganda, che aveva
avuto effetto contro le forze controrivoluzionarie interne, non
servì a niente contro Hindenburg, Ludendorff e Hoffmann.
Lenin aveva capito più di tutti i suoi compagni di partito
che una resistenza contro la Germania non aveva alcuna probabilità
di riuscita, così come nel novembre 1917 aveva colto in
pieno la possibilità di prendere il potere. A quel tempo
rifiutare di siglare e ratificare la pace avrebbe significato
il collasso del governo sovietico.
In ogni caso, la Russia precipitava in una guerra civile tra le
più orribili del ventesimo secolo, mentre Germania e Austria-Ungheria
potevano sottrarre truppe dal fronte orientale e riversarle sul
fronte francese e italiano, in proporzioni molto più massicce
di quanto fosse avvenuto dopo l’armistizio del dicembre
1917, per cercare di vincere la guerra.
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