Sbarco austriaco
vicino ad Ancona

Prof. Andrea Saccoman

Alle quattro del pomeriggio del 4 aprile 1918 salpò da Pola una barca a motore della marina militare austriaca, rimorchiata da una torpediniera e scortata da un cacciatorpediniere. L’obiettivo della spedizione era sabotare la base della marina italiana ad Ancona. A 15 miglia dalla costa italiana un reparto da sbarco di sessantaquattro marinai incursori selezionati con cura passò dalla torpediniera alla barca e fece rotta verso la costa. Alcuni tra di loro erano stati scelti perché parlavano italiano, lingua che, del resto, nella variante veneta parlata allora in Istria e Dalmazia, era piuttosto diffusa tra i marinai della Imperial e Regia Marina.
Intorno alle 2.15 antimeridiane del 5 aprile gli austriaci presero terra in una località deserta circa 13 chilometri a nord dalla città di Ancona. Il piano originario aveva previsto lo sbarco a due chilometri soli dal porto, ma evidentemente le correnti avevano fatto deviare l’imbarcazione rispetto al punto stabilito. Non ancora consapevoli dell’errore, i marinai austriaci cominciarono a dirigersi verso la città. Quando cominciò ad albeggiare gli sbarcati si trovavano ancora a diversi chilometri dall’obbiettivo e allora, per non destare sospetti, si nascosero in una casa colonica della zona. Nel pomeriggio uno dei marinai si travestì con abiti civili e andò in ricognizione ad Ancona.
Nel frattempo, verso le cinque e trenta del mattino, una pattuglia della Guardia di Finanza aveva scoperto l’imbarcazione usata dagli austriaci, arenata sulla spiaggia. Fu dato l’allarme e, mentre sul posto accorrevano i responsabili della difesa costiera, venivano disposte ricerche degli sbarcati. Si pensava che gli incursori mirassero agli hangar aeronautici di Iesi o volessero arrivare fino alle fabbriche d’armi di Terni per sabotarle. Tutte le ricognizioni risultarono vane e i pochi indizi raccolti sviarono la direzione delle ricerche, escludendo il vero obbiettivo degli incursori, il porto di Ancona.
Le difese italiane, tuttavia, erano oramai allertate al massimo. Il comandante del drappello austriaco decise pertanto di rinunciare all’attacco ai sommergibili ed agli impianti portuali e di limitarsi alla cattura dei MAS con i quali rientrare rapidamente a Pola. Gli austriaci ripresero il cammino verso le undici di sera del 5 aprile e oltrepassarono senza incidenti la barriera daziaria di Ancona. Entrati in città, però, prima un marinaio e poi un altro fra quelli rimasti in coda, entrambi di lingua italiana, fuggirono per le viuzze laterali e, incontrati gruppi di militari italiani, si manifestarono come disertori austriaci, denunciando la presenza dei commilitoni, e fu quindi dato l’allarme.
Il drappello austriaco, intanto, era riuscito a raggiungere la zona dove stavano i MAS, che però quella notte erano fuori dal porto per sorveglianza, proprio in conseguenza dello stato di allerta della giornata causato dalla scoperta della barca austriaca. L’unico motoscafo rimasto nel porto era all’attracco perché in avaria. Gli incursori ferirono a colpi di pugnale uno dei finanzieri di guardia, che si era insospettito, ma l’altro riuscì a sparare col moschetto, facendo accorrere rinforzi.
Dapprima giunse una squadra di una diecina di carabinieri al comando di un brigadiere, e poi arrivarono altre truppe: gli austriaci, circondati e vista perduta ogni possibilità di salvezza, si arresero senza opporre resistenza, e così l’intera vicenda si chiuse sul tono dell’operetta, tranne che per il milite della guardia di finanza ferito, che comunque se la cavò con qualche giorno di ospedale.
L’incursione era stata ben concepita e nessuno può dire cosa sarebbe accaduto se il gruppo di incursori fosse sbarcato nel punto pianificato, arrivando ad Ancona prima che la loro imbarcazione fosse scoperta. La defezione dei due marinai di nazionalità italiana, poi, era un piccolo indizio di come la compagine multietnica della Duplice Monarchia fosse oramai in via di sfacelo.
L’episodio dimostrò anche l’inadeguatezza del dispositivo italiano di difesa costiera, basato esclusivamente su pattuglie che dovevano controllare a piedi il litorale e su posti di blocco fissi. Per tali deficienze fu destituito il tenente generale comandante del Corpo d’Armata territoriale, Carlo Carignani (1857-1926), patrizio napolitano nobile dei duchi di Novoli e di Tolve, e quello della Divisione militare territoriale di Ancona, mentre i componenti delle pattuglie di vigilanza sulla spiaggia furono deferiti al Tribunale Militare e successivamente condannati a pene detentive.