si apre a Roma il Congresso delle Nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria

Prof. Andrea Saccoman

Seppure con differente significato politico, tanto il Presidente statunitense Wilson che il governo bolscevico avevano proclamato il principio dell’autodeterminazione dei popoli. Tali dichiarazioni, però, ancora nella primavera del 1918 erano in contrasto con l’intenzione dei governi di Francia, Italia e Inghilterra di mantenere l’Austria-Ungheria, sia pure in formato ridotto. Quasi a forzare la mano ai governanti, tra l’8 e il 10 aprile 1918 si tenne a Roma il Congresso delle Nazionalità oppresse dall’Austria-Ungheria.
L’iniziativa del congresso era stata di un gruppo di interventisti italiani che sin dal 1915 avevano sostenuto la necessità di porre fine allo stato multinazionale asburgico e far emergere stati nazionali nuovi o ingranditi. Gli scopi concreti che si volevano raggiungere erano tre:
1) Aiutare lo sforzo militare italiano con la propaganda tra i soldati delle nazionalità oppresse e favorire la rivolta contro l’Austria delle stesse nazionalità;
2) Convertire all’idea dello smembramento dell’Impero Austro-Ungarico i Governi alleati e associati propensi a salvare l’Impero asburgico;
3) Dare all’Italia la direzione del movimento delle nazionalità, che sino a quel momento aveva gravitato tra Parigi e Londra.
Al Congresso parteciparono delegazioni di boemi, slavi meridionali, polacchi e romeni. Le figure di maggiore notorietà erano il boemo Edvard Beneš (1884-1948), futuro presidente della repubblica cecoslovacca, e il croato Ante Trumbic (1864-1938), che finita la guerra sarebbe divenuto il primo ministro degli esteri del nuovo stato jugoslavo. Tra i numerosi partecipanti stranieri non appartenenti alle nazionalità soggette spiccavano il francese Albert Thomas (1878-1932), socialista ex ministro degli Armamenti, gli inglesi Henry Wickham Steed (1871-1956), primo redattore di politica estera del Times e Robert William Seton Watson (1879-1951), notissimo pubblicista tra i primi fautori dell’indipendenza dei popoli danubiano-balcanici nonché grande studioso della loro storia, e l’ambasciatore statunitense a Roma, Thomas Nelson Page (1853-1922).
Numerosissimi gli italiani, appartenenti a tutte le correnti politiche. Tra i più famosi si ricordano soltanto: il direttore del «Corriere della Sera», nonché senatore, Luigi Albertini, gli allora giornalisti destinati a un più o meno brillante futuro Giovanni Amendola, Giuseppe Antonio Borgese, Benito Mussolini, Gaetano Salvemini.
Il Congresso si chiuse con alcune risoluzioni pubbliche ed altre riservate. Quelle pubbliche proclamarono ufficialmente i seguenti punti di intesa e azione comune dei rappresentanti italiani, polacchi, romeni, cechi e jugoslavi:
«1. Ciascuno di questi popoli proclama il suo diritto a costituire la propria nazionalità ed unità statale o a completarla ed a raggiungere la propria indipendenza politica ed economica.
2. Ciascuno di questi popoli riconosce nella Monarchia austro-ungarica lo strumento della dominazione germanica e l’ostacolo fondamentale alla realizzazione delle proprie aspirazioni e dei propri diritti.
3. L’Assemblea riconosce pertanto la necessità della lotta comune (contro i comuni oppressori, perché ciascun popolo consegua la totale liberazione e la completa unità nazionale nella libera unità statale».
Le risoluzioni riservate erano più mirate alle necessità della guerra. In esse i popoli soggetti all’Austria-Ungheria chiedevano ai governi dell’Intesa di proclamare che la loro liberazione rientrava tra gli scopi di guerra degli Alleati; di incoraggiare la formazione di unità armate autonome, a base nazionale, sotto la giurisdizione dei vari comitati nazionali all’estero e riconosciute quali forze cobelligeranti alleate; di accordare ai soldati di queste formazioni militari lo stesso status dei soldati alleati; di consentire a chiunque, appartenente alle nazionalità oppresse, di arruolarsi in queste formazioni militari, le quali preferibilmente dovevano essere usate sul fronte italiano contro gli Austriaci; infine chiedeva di riconoscere ai civili appartenenti alle nazionalità soggette lo status di cittadini alleati.