Prof. Andrea Saccoman
La battaglia di Caporetto aveva fatto emergere
carenze nel cosiddetto tiro di contropreparazione. Nel complesso,
pur con numerose eccezioni, il 24 ottobre 1917 gli interventi
l’artiglieria italiana si erano rivelati inefficaci e del
tutto insufficienti ad arrestare od ostacolare l’offensiva
austro-tedesca.
Cercando di fare tesoro della lezione, nei primi mesi del 1918
il nuovo Comando Supremo italiano pose particolare cura per migliorare
la contropreparazione in previsione di una nuova offensiva nemica.
Il 29 marzo 1918 Armando Diaz aveva emanato apposite Norme per
l’azione difensiva, nelle quali si delineava l’attuazione
di una contropreparazione immediata.
I comandi di artiglieria di ogni grande unità prepararono
quindi delle apposite tabelle di tiro di contropreparazione: in
esse erano indicati gli obiettivi da battere (comandi, osservatori,
zone di raccolta delle truppe nemiche, punti di passaggio obbligato,
magazzini, centri logistici, postazioni di artiglieria…)
ed erano sempre aggiornate in modo che i comandi di artiglieria
sapessero cosa fare in caso di improvviso attacco.
Il 7 aprile 1918 una nuova circolare stabiliva però che
il tiro di contropreparazione cominciasse un’ora prima del
momento stabilito per l’attacco. Dopo Caporetto il servizio
informazioni sembrava aver funzionato molto meglio, e si riteneva
di poter sapere per tempo il giorno esatto e forse anche l’ora
esatta di inizio dell’attacco nemico.
Ma non si poteva avere la certezza assoluta e quindi nelle settimane
successive i vari comandanti diedero differenti interpretazioni.
Per dirimere le controversia sia Diaz che Badoglio, sottocapo
di Stato Maggiore, ne parlarono in varie occasioni ai comandanti
delle armate e ai comandanti d’artiglieria delle armate.
In breve: se si fosse saputa l’ora di inizio dell’attacco,
la contropreparazione sarebbe iniziata un’ora prima, altrimenti
nel momento stesso in cui il tiro di preparazione avversario si
fosse manifestato.
Ciononostante in pratica ogni comandante d’armata emanò
proprie direttive. Il generale Luca Montuori, comandante della
6a armata, dapprima, in aprile, aveva diramato ordini rispondenti
alla circolare del 7 aprile, ovvero per la contropreparazione
anticipata. Il 15 aprile dispose invece per la contropreparazione
immediata. Il 13 giugno, infine, dispose addirittura che il tiro
di contropreparazione cominciasse mezz’ora dopo l’inizio
della preparazione nemica.
Per fortuna il comandante d’artiglieria della 6a Armata
era uno dei migliori artiglieri nella storia dell’esercito
italiano, il colonnello brigadiere, e poi maggiore generale per
merito di guerra, Roberto Segre (1872-1936). Egli aveva fiducia
nell’ufficio informazioni dell’Armata, che sin dal
principio della guerra si era rivelato uno dei più efficienti
e aveva previsto l’inizio dell’offensiva austro-ungarica
per il 15 giugno. Segre non accettava l’idea che si dovesse
subire passivamente per mezz’ora il fuoco avversario, e
non ci voleva un genio per capire che ciò avrebbe provocato
vittime e danni allo schieramento italiano.
E quindi Segre ottenne l’autorizzazione di attuare il piano
che egli aveva predisposto: già alle 23,15 del 14 giugno
1918 cominciò un concentramento di tiri «a liquidi
speciali» ovvero a gas o aggressivi chimici su Val Campomulo
per interrompere il movimento lungo quell’arteria. Altri
tiri dello stesso tipo avvennero in Val Frenzela contro ammassamenti
di truppa e con proiettili «tradizionali» contro il
nodo stradale di San Rocco, oltre che per i tiri di controbatteria.
I tiri risultarono di grande efficacia: i soldati nemici restarono
sorpresi dal fuoco italiano e diversi reparti si fecero prendere
dal panico proprio mentre erano tutti concentrati per l’imminente
offensiva. Reparti in movimento furono costretti a fermarsi e
sparpagliarsi in cerca di riparo. Battaglioni furono colpiti nei
punti di raccolta. Intere batterie furono smontate dalla grandinata
di proiettili. Le retrovie furono disordinate. Depositi colpiti
e distrutti. I collegamenti delle divisioni avanzate furono interrotti
a più riprese.
L’importanza di tutto questo va commisurata anche in relazione
al piano strategico austro-ungarico. Nell’immaginario comune
la «Battaglia del Solstizio» (altra invenzione linguistica
dannunziana) è nota come Battaglia del Piave (o seconda
Battaglia del Piave, per distinguerla dalla battaglia d’arresto
del novembre-dicembre 1917). Ma lo sforzo principale gli austroungarici
l’avevano progettato a cavallo del fiume Brenta con l’obiettivo
di sfondare il fronte montano e raggiungere la pianura prendendo
alle spalle le truppe schierate sul Piave.
È dunque in quest’ottica che deve essere valutata
l’azione dell’artiglieria della 6a Armata e del generale
Segre, che si rivelò decisiva per le sorti della battaglia
difensiva. Più in generale, in ogni caso, tutta l’artiglieria
italiana si comportò bene tra il 14 e il 23 giugno 1918
e non a caso fu per questa battaglia che fu concessa la Medaglia
d’oro al Valor Militare alla Bandiera dell’Arma.
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