Prof. Andrea Saccoman
L’impatto della Grande Guerra sullo sviluppo
demografico del mondo è molto difficile da stabilire. Sul
breve periodo, è appena il caso di dirlo, fu pagato un
grande tributo di vite umane. Cifre esatte sulle perdite belliche
sono impossibili da fornire. Diciamo che tutti gli studiosi seri
accettano la cifra di 10 milioni di militari morti in cifra tonda.
Essa però non rappresenta certo il totale dei morti a causa
della guerra o per cause collegate alla guerra. Ed è tanto
più difficile in quanto sia nel corso della guerra che
negli anni immediatamente successivi ci furono profughi, spostamenti
di popolazione e mutamenti di appartenenza nazionale (e quindi
anche statistica) a causa della nascita di nuovi stati e dei mutamenti
delle frontiere rispetto alla situazione d’anteguerra. Particolari
difficoltà presenta il caso russo, poiché è
anche in questo caso impossibile distinguere i morti per la guerra
da quelli della guerra civile che continuò sino al 1922
e i morti per le carestie e le epidemie ad essa connesse.
Di certo i paesi che presero parte al conflitto si ritrovarono
al termine di esso con un “deficit demografico”. Che
esso vi sia stato sono tutti d’accordo, sulle sue dimensioni
invece le stime variano molto, perché i dati sono parziali
o distorti per le cause che si sono prima richiamate. Alcuni studi
relativi a Gran Bretagna, Francia, Germania e Austria-Ungheria
danno un totale (sommando le perdite di tutti e quattro i paesi)
di 3 milioni e 770 mila civili morti e 15,3 milioni di “mancate
nascite” a causa della guerra: i milioni di uomini che erano
al fronte restarono anche per anni separati da mogli e fidanzate,
le peggiorate condizioni di vita all’interno resero le donne
meno desiderose di avere figli o, in alcuni casi, causarono infertilità.
Altri studi indicano invece un totale di mancate nascite stimato
tra i 20 e i 24 milioni. Il tema delle mancate nascite è
certo uno dei più ardui da affrontare per gli studiosi
di demografia storica del tempo di guerra.
Le stime dei morti civili a causa della guerra escludono inoltre
il milione e mezzo circa di armeni uccisi dai turchi e le vittime
della pandemia influenzale. Essa è passata alla storia
come l’influenza “spagnola” perché all’epoca
si credette che fosse stata portata dall’Asia da marinai
spagnoli.
Anche per la pandemia influenzale è difficilissimo stabilire
la relazione tra essa e la guerra. La spiegazione tradizionale
era che le privazioni della guerra avevano reso le popolazioni
meno atte a resistere al virus e perciò quella che in condizioni
“normali” sarebbe stata una epidemia influenzale come
altre si trasformò in pandemia, causando, secondo le stime
più attendibili, tra i 30 e i 40 milioni di morti in tutto
il mondo (alcune stime si spingono fino a ipotizzare 50 milioni
di morti).
In verità i primi casi si registrarono, nel marzo 1918,
nei campi militari d’addestramento pieni di soldati negli
Stati uniti. Eppure i soldati colpiti non erano ancora andati
in Europa e la popolazione americana non conobbe le privazioni
indotte dalla guerra che afflissero invece le popolazioni europee.
Stati che erano rimasti neutrali per tutto il corso del conflitto
furono colpiti tanto quanto i belligeranti. Si è stimato
che l’influenza del 1918 abbia ucciso un abitante su quattro
nelle isole del Pacifico meridionale, luoghi dove la guerra era
giunta solo tramite le notizie dei giornali.
Più direttamente legata alla guerra fu invece un’altra
malattia, il tifo, diffuso per tutto il conflitto nell’Europa
orientale, benché quasi sconosciuto sul fronte occidentale.
Si stima che nella sola Serbia, e nel solo inverno 1914-15, il
tifo abbia ucciso tra le 135.000 e le 160.000 persone, e almeno
un milione e mezzo di persone in Russia tra il 1914 e il 1920.
Sul fronte italiano vi fu una epidemia di colera tra la fine del
1915 e l’inizio del 1916, che provocò ufficialmente
2288 morti tra i soldati italiani e almeno 300 tra i civili.
Le cifre dei caduti possono essere osservate da vari punti di
vista. Si stima che la Francia abbia avuto 1 milione e 300 mila
militari morti, che rappresentavano il 16,8% del totale dei mobilitati
e il 13,3% della popolazione maschile tra i 15 e i 49 anni di
età. La Germania perse in cifra tonda 2 milioni di uomini,
ovvero il 15,4% dei mobilitati e il 12,5% dei maschi tra i 15
e i 49 anni. La Gran Bretagna (esclusi i Dominions) perse circa
722.000 combattenti, pari all’11,8% dei mobilitati e il
6,3% dei maschi trai i 15 e i 49 anni. I 278.000 caduti della
Serbia rappresentarono il 37,1% dei mobilitati e il 22,7% della
popolazione maschile tra i 15 e i 49 anni. I 600.000 caduti italiani,
in cifra tonda, rappresentarono circa l’11% dei mobilitati
e l’8% della popolazione maschile tra i 15 e i 49 anni.
Sul lungo periodo, tuttavia, la guerra a malapena rallentò
la tendenza all’aumento globale della popolazione. Le stime
più accurate ci dicono che nel 1910 la popolazione mondiale
era pari a circa 1 miliardo e 750 milioni. Nel 1920 essa era salita
a 1 miliardo e 860 milioni, malgrado le cifre sui morti che si
sono appena fornite. Solo per dare qualche termine di paragone
si tenga conto che la popolazione mondiale era di circa un miliardo
e 650 milioni nel 1900, cioè nel periodo 1900-1910 era
cresciuta di 100 milioni, mentre nel periodo 1910-1920, di eguale
durata e con in mezzo la guerra e la pandemia influenzale, crebbe
di 110 milioni. La popolazione mondiale raggiunse poi i 2 miliardi
nel 1927, i 3 miliardi alla fine del 1959, i 4 miliardi nel 1974,
i cinque miliardi nel 1987, i 6 miliardi nel 1999, i 7 miliardi
nel 2011.
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