Prof. Andrea Saccoman
Premettendo che tutte le cifre che si forniranno
contengono margini di incertezza, i dati a nostra disposizione
ci dicono che nel corso della Grande Guerra furono rinviati a
giudizio 262.481 militari italiani. Di essi 170.064 subirono una
condanna. Vi furono 4.028 condanne a morte, delle quali 2.967
in contumacia.
Queste cifre vanno rapportate a quanti italiani vestirono l’uniforme
tra il 1915 e il 1918. Furono circa 5.900.000, compresi i militari
di Marina. Poi vanno rapportate a quanto accadde negli altri eserciti.
In Francia furono comminate circa 2500 condanne a morte su 7.891.000
mobilitati. Ne furono eseguite all’incirca 670. Nell’esercito
inglese furono eseguite 346 condanne a morte su un totale di 8.900.000
mobilitati (compresi i mobilitati dai territori dell’Impero
e i Dominions). Nell’esercito tedesco si riportano solo
48 condanne a morte eseguite su un totale di oltre 13 milioni
di mobilitati.
Verrebbe da concludere quindi che l’esercito italiano è
stato di gran lunga il più spietato di tutti gli eserciti
della prima guerra mondiale. Invero ci sono diverse osservazioni
da fare.
Le cifre per l’esercito francese non sono definitive, perché
in Francia la legislazione sugli archivi per questo particolare
tipo di documenti prevede che siano di pubblica consultazione
dopo cento anni dai fatti. E quindi solo adesso possono cominciare
ricerche basate sulle fonti primarie.
Il primo studio sulle esecuzioni durante la guerra nell’esercito
francese, nel 1967, stimava le fucilazioni in circa 500 e forse
meno, mentre gli studi più recenti hanno fatto salire le
stime di oltre 100 esecuzioni. Altre stime si spingono sino al
numero di 800.
Tenendo contro che la Francia aveva cominciato la guerra dieci
mesi prima dell’Italia e aveva mobilitato circa due milioni
di uomini in più, il regime penale dell’esercito
italiano resta in comparazione più severo, ma non in maniera
così sproporzionata come potrebbe sembrare a prima vista.
Per quanto riguarda l’esercito inglese sono necessarie ulteriori
osservazioni. Alla cifra fornita prima bisognerebbe aggiungere
25 canadesi e 5 neozelandesi, che portano il totale a 376 condanne
a morte eseguite.
Vi è poi il caso particolare degli australiani. Nel corso
del conflitto furono mobilitati 417.000 soldati australiani. La
forza di spedizione australiana risultò quella con il più
alto tasso di diserzioni e insubordinazioni, ma ciononostante
nessun australiano fu fucilato perché in virtù degli
accordi stabiliti tra Regno Unito e governo del Dominion Australia
solo quest’ultimo poteva sanzionare le condanne a morte
eventualmente comminate da una corte marziale e il governo australiano
si rifiutò di farlo. Altrimenti, applicando i criteri usati
per le condanne nel resto dell’esercito imperiale britannico,
bisognerebbe aggiungere al totale almeno 200 soldati australiani.
Infine mancano del tutto dati sull’esercito indiano, che
pure inviò complessivamente oltre un milione di soldati
a combattere in Francia e in Medio Oriente, ed è difficile
credere che non abbia avuto casi di diserzione o altri reati militari
sanzionabili con la pena capitale.
Nel caso dell’esercito tedesco resterà per sempre
impossibile dare una valutazione scientifica perché gli
archivi della giustizia militare tedesca nella prima guerra mondiale
sono stati inceneriti dai bombardamenti alleati su Berlino nel
corso della seconda guerra mondiale. Si può supporre che
le condanne a morte eseguite siano state meno che altrove poiché
anche nella vita civile il popolo tedesco era molto più
disciplinato di quello italiano, ma comunque la cifra di soli
48 fucilati è considerata troppo bassa da tutti gli studiosi.
Alla fine della guerra una commissione incaricata di determinare
le cause della sconfitta stimò che il numero di soldati
tedeschi sottrattisi al proprio dovere in modi penalmente perseguibili
tra l’agosto e il novembre del 1918 fosse compreso tra 750.000
e un milione.
Mancano dati accettabili su due eserciti che per certo eseguirono
molte condanne a morte: quello russo e quello austro-ungarico.
Su quest’ultimo sappiamo che vi furono numerose esecuzioni
perché esistono le foto delle impiccagioni, in quanto nell’esercito
austro-ungarico si impiccava invece di fucilare, ma sono carenti
dati statistici precisi.
Un piccolo esercito come quello bulgaro, che mobilitò tra
i 400.000 e i 500.000 uomini, giustiziò circa 800 militari.
In ogni caso bisogna riconoscere che le 750 condanne a morte eseguite
nell’esercito italiano non sono poche, ma più che
a una maggiore spietatezza delle gerarchie militari italiane o
rigidità del regime penale rispetto agli altri eserciti
ciò è attribuibile al carattere della società
italiana e al modo in cui l’Italia entrò in guerra.
Rispetto all’esercito inglese, francese o tedesco, i soldati
italiani provenivano da una società con un più basso
livello di istruzione, una minore coesione sociale, un minor reddito
pro capite e un senso civico meno sviluppato.
Un solo dato è eloquente: il tasso di analfabetismo tra
le reclute. Nel 1913 in Italia era del 10%, contro il 4% nell’esercito
francese e meno dell’uno per mille in quello tedesco. Per
il Regno Unito non abbiamo i dati sui militari, anche perché
fino al 1916 non esisteva servizio militare obbligatorio; però
nel 1914 in Inghilterra e Galles la percentuale di analfabeti
tra gli sposi (maschi)1era dello 0,8% e in Scozia dello 0,7% (le
variazioni percentuali sino al 1918 furono minime, per cui possono
essere tenuti buoni questi dati per tutta la durata della guerra).
Inoltre con le parziali eccezioni della Russia e dell’Austria-Ungheria,
gli altri paesi entrarono in guerra con una consenso molto più
vasto rispetto all’Italia e, almeno all’inizio, la
maggior parte dei soldati di tali paesi era convinta di combattere
una guerra sacrosanta per difendere la patria. L’Italia
fu invece trascinata in guerra da una minoranza, rumorosa e convinta
ma comunque minoranza.
Diverso è il caso delle esecuzioni sommarie. Benché
le cifre non indichino in totale che circa 300-350 militarini
passati per le armi senza processo, è proprio questo tipo
di somministrazione della giustizia militare che ancora oggi rappresenta
nell’immaginario collettivo l’arbitrarietà
e la mancanza di umanità delle gerarchie, specialmente
nei casi di estrazione per sorteggio (impropriamente chiamati
“decimazioni”) tra i reparti implicati in casi di
ammutinamento, rivolta o sbandamento (otto casi censiti, per un
totale di 45 militari fucilati).
Per concludere: la prima guerra mondiale fu una guerra particolarmente
brutale per i soldati, ma, come tutte le guerre, seguì
regole che non avevano a che vedere con il diritto, la giustizia
e la pietà del tempo di pace. E lo stesso dicasi quando
si parla di eserciti, dove vige il principio della disciplina
e della gerarchia, e non certo della democrazia. Agli eserciti
in guerra non si possono quindi applicare le stesse categorie
di giudizio che applicheremmo alla giustizia civile in tempo di
pace. E meno che mai all’esercito italiano nella Grande
Guerra si possono applicare i criteri morali di un secolo dopo.
Si dovrebbe ragionare sul fatto che mentre negli ultimi venti
anni si è sviluppato un dibattito che in alcuni paesi,
come la Francia, ha portato alla riabilitazione nella memoria
collettiva nazionale di tutti i fusillés pour l’exemple,
e quasi dappertutto alla loro inclusione tra i “caduti”
con il dovuto cordoglio e rammarico, niente di simile, almeno
in termini di “uso pubblico della storia”, è
stato fatto per i soldati giustiziati nella Guerra dei Trent’Anni
o nelle guerre napoleoniche.
È anche per questa via che si capisce come la Grande Guerra
abbia segnato l’irruzione della modernità, da tutti
i punti di vista, in un mondo educato in base a criteri, paradigmi
e norme giuridiche e morali figli e figlie delle epoche precedenti.
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