Prof. Andrea Saccoman
Meno di sei mesi dopo l’offensiva di primavera
cominciata con grandi speranze di vittoria, gli imperatori di
Germania e Austria avevano abdicato, l’Austria-Ungheria
si era dissolta e l’Impero Ottomano si era ridotto ai soli
territori dell’Asia Minore e dell’odierna Turchia
europea.
La vittoria degli alleati dell’Intesa non fu dovuta però
alla superiorità congenita delle democrazie rispetto ai
regimi autoritari o del principio del liberalismo sul conservatorismo.
Senza l’aiuto del più autoritario dei regimi europei,
il vecchio impero zarista, gli alleati occidentali avrebbero probabilmente
perso la guerra. L’esercito russo, pur perdendo la più
gran parte delle battaglie e subendo perdite disastrose, attaccò
nei momenti in cui la pressione tedesca sul fronte occidentale
era al massimo, inchiodando o richiamando divisioni tedesche che
se schierate sull’altro fronte avrebbero fatto la differenza
e reso possibile una decisiva vittoria tedesca. Ciò accadde
nell’estate del 1914, nel 1915 e con l’offensiva Brusilov
del 1916. Quando la Russia svanì come entità militare
in seguito alla Rivoluzione, l’ingresso in guerra degli
Stati uniti bilanciò la perdita e favorì la vittoria
degli Alleati.
Germania ed Austria-Ungheria avevano una struttura federale che
rese meno efficiente il loro sforzo militare. In Germania l’autonomia
fiscale dei singoli stati che componevano l’impero resero
molto più difficoltoso che in altri paesi imporre tasse
uniformi a livello nazionale; nell’impero asburgico gli
ungheresi per tutta la guerra difesero le prerogative che avevano
ottenuto nel 1867 al punto da danneggiare gli interessi strategici
dell’Impero nel suo complesso.
Per la Germania, a partire da quando nel 1916 la coppia Hindenburg-Ludendorff
si insediò al vertice dello Stato Maggiore, nel Comando
Supremo si concentrarono sia il potere militare che quello politico.
Forse Ludendorff ebbe buone idee sul piano strettamente militare
ma si rivelò perlomeno miope se non del tutto incapace
sul piano politico. Non si rese conto dei limiti della potenza
tedesca e rimase attaccato a obiettivi strategici del tutto irrealistici
anche quando era chiaro che la guerra era persa. Nel 1918 le potenze
alleate avevano oramai una netta superiorità sia numerica
che di risorse materiali. Dopo la sconfitta dell’offensiva
di primavera era evidente che la guerra non poteva essere vinta
e una pace di compromesso era l’unica soluzione ragionevole.
Ciò avrebbe implicato la restituzione di tutti i territori
occupati e la perdita dell’Alsazia-Lorena, ma né
il comando supremo tedesco né le élites politiche
ed economiche erano disposte ad accettare l’inevitabile
e continuarono fino ad estate inoltrata a cullarsi nell’illusione
che una delle successive offensive avrebbe portato alla vittoria.
Sul fronte orientale una pace moderata con la Russia bolscevica
oppure una piena applicazione del principio dell’autodeterminazione
dei popoli avrebbe rafforzato la posizione politica e diplomatica
e l’immagine degli Imperi Centrali molto più dello
sconsiderato sfruttamento dei territori occupati e dei piani per
la loro colonizzazione e quelli per la penetrazione economica
e politica nelle regioni dell’Europa orientale.
I dirigenti politici, militari ed economici tedeschi erano convinti
la Germania avesse un futuro solo diventando una potenza mondiale
e che ciò si potesse acquisire solo con una pace vittoriosa.
Ritenevano che nella guerra fosse in gioco non solo la sicurezza
della Germania ma anche la sua stessa esistenza come potenza europea.
Fintantoché avessero potuto cullare l’illusione che
gli alleati avrebbero ceduto prima di loro non avrebbero accettato
di moderare i loro obiettivi strategici.
Già dopo i primi mesi di guerra tutti i belligeranti si
trovarono ad affrontare un problema comune: la perdita di centinaia
di migliaia e persino di milioni di vite umane poteva essere giustificata
solo se la propria parte vinceva la guerra e se i trattati di
pace fossero stati ispirati dalla vittoria.
Qualsiasi soluzione che non avesse permesso di conseguire gli
obiettivi di guerra dichiarati avrebbe rischiato di destabilizzare
l’intero sistema politico.
La dittatura militare di fatto che la Germania conobbe tra il
1916 e il 1918 fallì anche nel trovare un utile equilibrio
tra esigenze puramente militari e fronte interno. Gli ambiziosi
piani di produzione pensati dal comando supremo riuscirono a produrre
abbastanza armi e munizioni ma non riuscirono a fornire automezzi,
aeroplani e carri armati in misura adeguata e trascurarono i bisogni
essenziali della popolazione civile.
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