Milano accoglie
i fuoriusciti ed i profughi
Trentini e Friulani

a cura di Andrea Bianchi

1914-1915: la Commissione per i Fuoriusciti Trentini

Milano già nella guerra del 1859 aveva istituito un piccolo centro di raccolta per gli esuli che provenivano dalle zone trentine.
Nell’agosto del 1914 giungevano a Milano i fuoriusciti: queste persone, fiutato il pericolo di una guerra, scappavano dalle loro terre natie del Trentino e, avendo persino rifiutato di vestire l’uniforme dell’Esercito Imperialregio, attraversavano con varie peripezie il confine italo-austriaco. Una volta arrivati a Verona, si portavano a Milano.
I primi a giungere in tal modo furono Cesare Battisti e Guido Larcher(1) , seguiti da pochi altri. Questi primi fuoriusciti trovarono ospitalità da trentini che, vivendo in città da anni, erano ben introdotti nella società milanese; si decise dunque di costituire la “Commissione per i Fuoriusciti Trentini” con lo scopo di accogliere tutti i “Fratelli Trentini” che – si sapeva – erano pronti a disertare, scendere in Italia e intervenire a favore dell’entrata in guerra dell’Italia contro l’Impero Austroungarico.

L’opera della Commissione, sita in via Silvio Pellico 14, si esplicò multiforme secondo i tempi e gli eventi.
Nel primo periodo di vita si dedicò a una massiccia campagna di sensibilizzazione del problema “Irredentistico” che affliggeva i popoli italiani sottomessi al giogo straniero: tale azione vide in primo piano la figura di Cesare Battisti occupato in innumerevoli viaggi per l’Italia con conferenze sull’argomento, nonché impegnato ad intrattenere rapporti con le alte cariche politiche italiane.
Guido Larcher invece era tutto dedito a costituire il Battaglione Volontari Trentini(2), (inseriti nel Battaglione Negrotto(3)) inquadrando una settantina di uomini trentini, addestrati dal Tenente Arturo Andreoletti(4).

Nei mesi precedenti lo scoppio della guerra italo-austriaca, continuarono a sopraggiungere dei nuovi esuli. Il 24 maggio 1915 sorse il nuovo problema di come aiutare e gestire le spose, i figli e le madri dei trentini che, giunti da tempo, si erano arruolati Volontari nel Regio Esercito Italiano, Battisti e Larcher compresi(5). Di fronte a ciò, nacque un nuovo impegno per la Commissione: quello dell’assistenza.
Era chiaro che i fuoriusciti trentini costretti a riparare in Italia, dovevano trovare fraterna accoglienza ed aiuto finanziario: i fondi economici disponibili, in un primo tempo erano affluiti dalla generosità di privati, tra i quali il Senatore Carlo Esterle, i fratelli Giovanni e Tommaso Pedrotti e l’Associazione Dante Alighieri(6). Infine lo Stato che, riconoscendo l’utilità della Commissione, le affidò il mandato di gestire i fuoriusciti. La Commissione dunque istituì al suo interno un Ufficio Sussidi, organizzato in modo che – in brevissimo tempo – potesse conoscere e certificare i reali bisogni del richiedente; un Ufficio di Collocamento che, tramite i rapporti sociali intessuti con la borghesia e gli industriali milanesi, riuscì a collocare quasi tutti gli abili al lavoro; infine un Ufficio d’Assistenza che diede opportunità agli anziani non occupati altrove e alle gestanti, di contribuire allo sforzo nazionale con varie attività, fra le quali la produzione dello Scaldarancio e servizi vari in ospedali e istituti clinici.
La Commissione creò un Ufficio d’Informazioni al fine di ricercare notizie dei parenti che erano sparsi per tutto il Regno e all’Estero (soprattutto quando si seppe che l’Austria aveva internato moltissimi trentini nel campo profughi a Mauthausen); curò poi la pubblicazione del Bollettino dell’Emigrazione Trentina, riportando notizie dei concittadini trentini che erano stati evacuati dai loro paesi e trasferiti all’interno dell’Impero come profughi.
La Commissione creò anche una propria Banca grazie al Fondo Prestiti Governativi che aveva sede principale a Roma presso la Commissione Centrale di Patronato dei Fuoriusciti Adriatici e Trentini; a Milano dunque funzionò il fondo Prestiti Bancari.


1916: La colonia per i Profughi Trentini

A seguito dell’offensiva austroungarica del maggio 1916 che toccò il territorio trentino in modo massiccio, a Milano si riversarono moltissimi sfollati e profughi: già 1200 erano i profughi che dalla Valsugana necessitavano di aiuto.
La Commissione, direttamente interessata, dovette occuparsi principalmente della ricerca di alloggi e di beni primari per questa povera gente che – spesso – dovette abbandonare i loro averi in tutta fretta. Giovanni Cassis, Commissario Civile del Comune di Milano, ebbe l’idea di creare una “Colonia per Profughi” amministrata e gestita dalla Commissione Trentina: La Commissione così dovette gestire due gruppi di persone: i fuoriusciti (ante 1915) e i profughi - sfollati (post 1915) che le vicende belliche procurarono.
Per assolvere al mandato verso i Profughi, la Commissione non voleva creare un semplice ospizio o albergo, ma voleva diventare un’istituzione avente lo scopo di integrare dal punto di vista patriottico i profughi, fornendo loro istruzione, lavoro e tutta l’assistenza cui avevano bisogno.

Quanti erano?
Effettivamente ancora oggi un numero preciso di quanti furono ospitati o passarono nelle strutture create per soccorrere i profughi, non è ancora chiaro.
Infatti in data 5 dicembre 1917 il Prefetto faceva obbligo ai profughi delle provincie invase di presentarsi agli Uffici mandamentali di sorveglianza urbana per esservi censiti e far censire tutte le persone che stavano col capofamiglia. Il censimento però diede un esiguo risultato: 11.387.
Nel gennaio 1918 si provvide con altro censimento regolamentato in modo più preciso che fornì la cifra di 20.640 profughi.
Un terzo censimento fu in forza del DL 27 giugno 1918 dell’Alto Commissariato Profughi di Guerra nel quale vennero compresi tutti i profughi del Veneto, Friuli, Trentino, Triestino, Adriatico e i cittadini italiani rimpatriati dall’estero per causa di guerra. e qui il numero fu spropositato: 43.320 Profughi!

Alloggi
Furono presi in affitto gli stabili al n.12, 14 e 16 in pizza d’Armi. Gli edifici, completamente isolati, erano a poca distanza da due linee tramviarie e in faccia ad essi vi era un bellissimo doppio viale alberato con in fondo il parco, delizia dei bimbi e sollievo per gli anziani. Gli appartamenti erano tutti indipendenti, ognuno di tre locali e una cucina con accessori come acqua potabile, impianto di riscaldamento ed illuminazione elettrica. Gli appartamenti furono assegnati a singole famiglie e di regola, in ogni stanza, non vi dovevano essere più di tre o quattro persone, anche se a richiesta dei profughi si dovettero fare delle eccezioni. La cucina doveva servire esclusivamente quale locale mensa e di ritrovo.


Vitto

In un primo tempo l’Unione Cooperativa di Milano, fornì delle provvisorie cucine da campo, poi vennero impiantate delle cucine stabili, capaci di fornire giornalmente il vitto a 1200 persone. Accanto a queste cucine, furono collocati i magazzini di generi alimentari. La gerenza della cucina era affidata all’Ufficio di Amministrazione Comunale, mentre il resto del personale era fornito dagli stessi profughi. Il menù era vario: carne tre volte la settimana e le razioni comprendevano 480 gr di pane, 500 di verdura, 400 di polenta, 70 di carne cotta, 80 di formaggio e 6/10 di litro di zuppa. La mattina veniva servito caffè-latte; ogni profugo poi aveva diritto a 400 gr di zucchero al mese.


Sanità ed igiene

I profughi, al loro arrivo erano sottoposti a controllo medico e bagni di pulizia presso i Bagni Municipali. La Colonia era poi dotata di apparati a doccia e vasche; il bagno era obbligatorio per tutti. I fabbricati erano sottoposti a pulizia giornaliera con due squadre: a turno una doveva pulire i marciapiedi e i cortili, l’altra le scale e gli androni interni. Gli appartamenti dovevano essere puliti dagli stessi inquilini che per l’occasione ricevevano sapone e spazzolone.

Ambulatorio
I profughi al loro arrivo subivano una visita curata dal dott. Gerardo Fraccari, medico comunale che con devozione e spirito umanitario si dedicò all’opera sua volontariamente, rifiutando qualsiasi compenso dai profughi. Sotto la sua direzione e coll’aiuto della sig.na Covi, direttrice della colonia, venne anche allestito un ambulatorio medico, fornito pure di letto operatorio e ferri chirurgici; vi era un’infermeria con 6 letti. L’Ambulatorio entrò in funzione nel maggio del 1916 e fino al dicembre dello stesso anno furono già 1814 le visite effettuate. Si dovettero ricoverare 41 persone negli ospedali cittadini, ma dato che la maggior parte della gente era di ceto contadino, si notò che in genere avevano una valida costituzione fisica; scarsi gli squilibri psichici che pure si potevano ritenere facili in gente che vide da vicino gli orrori della guerra; pochissime le malattie organiche.

Istruzione
All’arrivo dei profughi, vi erano fra loro 146 bambini dai 3 ai 6 anni e 264 ragazzi e ragazze dai 6 ai 14 anni. Sorse quindi naturale la necessità di provvedere ad un Asilo infantile, collocato in un’ala apposita dello stabile con due sale ariose e soleggiate, arredata di tutto a cura del Comitato Lombardo Unione Nazionale degli Insegnanti. Tutti i bambini furono dotati di un grembiulino uniforme, dono delle Signore del Lyceum di Milano.


Le Scuole

Purtroppo i primi profughi giunsero a maggio, periodo – per l’anno scolastico – infelice perché in dirittura d’arrivo coi programmi didattici. Gli scolari non poterono essere subito accolti nelle aule e fu giocoforza rimandarli tutti ad ottobre. Nel frattempo si provvide ad impartire lezioni private nel vicino edificio scolastico di via Rosari, messo a disposizione dal Comune. Furono così formate quattro classi (due maschili e due femminili) e venuto ottobre, tutti gli alunni furono ammessi alle varie scuole cittadine. Per i ragazzi dai 12 ai 14 anni (in Italia l’obbligo dell’istruzione era fino ai 12 anni), si aprì in colonia una scuola serale. Nel corso dell’anno scolastico 1916-17 gli scolari furono 182: di essi furono promossi 97, rimandati 39 e bocciati 46. Alcune squadre di ragazzi e ragazze, fra i più meritevoli, vennero scelte per gite promosse dalla Sezione Turismo Scolastico del Touring Club Italiano. Infine non meno importante fu l’educazione religiosa, amorevolmente seguita da don Luigi Rigo, già Direttore delle Scuole Elementari di Trento, coadiuvato da don Giuseppe Curnet di Vallarsa.

Svago
Venne allestita una sala di lettura e conversazione in comune e una sala cinematografica per proiezioni a contenuto patriottico e una biblioteca con più di 600 libri offerti dal Consorzio delle Biblioteche Popolari di Milano e dall’Ufficio V°, Comitato III° della Biblioteca di Brera. I profughi poi vennero chiamati attivamente e parteciparono in massa alle più importanti feste cittadine e patriottiche, dimostrando di essere perfettamente integrati con la vita sociale della città.

Lavoro
Si svolse in tre direzioni:
a) Collocamento: la Direzione della colonia, subito dopo aver provveduto all’alloggio e al cibo, sapeva che quella del lavoro era la terza necessità. Fatto il censimento degli atti al lavoro, entro 8 giorni riusciva a collocare i profughi. Questo grazie a una serie rete di rapporti fra industriali, ufficio di collocamento e conoscenze personali; fu così che moltissime famiglie raggiunsero in pochi mesi una indipendenza economica mai sperata e, spontaneamente, lasciavano l’appartamento della colonia liberandolo e mettendolo a disposizione di altri profughi soprattutto provenienti dal Mezzogiorno.
b) Laboratori della colonia: per le donne in gravidanza o con prole da allattare, senza marito e pertanto sprovvedute di mezzi economici, s’instaurarono due laboratori: uno di cucito a macchina riservato alle fuoriuscite e alle profughe; l’altro per sole profughe per confezionare i sacchi da trincea. Nel primo laboratorio si confezionavano pure indumenti per i bimbi della colonia, lavori vari per gli Ospedali e Istituti d’Assistenza; semplici lavori a maglia per gli abiti invernali per i soldati al fronte. Successivamente vennero aperti un laboratorio di piccola sartoria ove si confezionavano vestitini che poi venivano dati gratuitamente ai più bisognosi e un laboratorio di materassi e tappezzieri. Tutti i lavori erano pagati secondo le leggi nazionali.
c) Lavori agricoli: il Comune di Milano in vista della penuria di generi alimentari, aveva incentivato gli “orti di guerra” per la città. Fu così che anche la colonia fornì delle squadre di uomini e ragazzi, contribuendo alla riduzione, dissodamento e semina di un terreno di 4 mila mq. vicino alla colonia stessa, dato in comodato d’uso. Inoltre ebbe da gestire un altro campo da 8 mila mq. Tutti i campi furono dunque lavorati e seminati con attrezzature offerte gratuitamente e la produzione fu tale non solo da soddisfare i bisogni delle stesse colonie, ma anche da avere una importante eccedenza che venne venduta sul mercato.

1918: I COMITATI FRIULANI E TRENTINI
Dagli ultimi di ottobre del 1917 a tutto novembre si susseguirono folle dolorose di profughi portando in città la prova straziante dell’invasione nemica.
Associazioni d’assistenza civile ed umanitaria già sorte fin dall’inizio della guerra, furono subito chiamati dalla fiducia del Regio Prefetto e dal Sindaco perché s’incaricassero di organizzare il più rapidamente possibile l’assistenza dei profughi; assistenza che s’iniziò immediatamente senza nessuna formalità burocratica col dare il necessario per i primi urgentissimi bisogni. Quello che però arrivava dalle terre invase erano le famiglie smembrate, smarrite per via, separate in direzioni diverse. Dopo una sommaria identificazione e registrazione, veniva dato un piccolo sussidio in denaro. Intanto l’Amministrazione Comunale si muoveva per la ricerca degli alloggi; così alla Stazione Centrale era disposto che, all’arrivo dei profughi, il Commissariato per l’Emigrazione curasse che quanti dovevano proseguire per altra località o che erano momentaneamente privi di qualsiasi appoggio, venissero inviati alla Casa Emigranti dell’Opera Bonomelli(7) e alla Società Umanitaria(8), già pronte all’emergenza.
Il Commissariato di Pubblica Sicurezza provvedeva invece alla regolarizzazione dei documenti e alla consegna del Foglio di Viaggio per coloro che dovevano proseguire e recarsi in altre località. I primi due mesi furono penosissimi perché i profughi erano veramente privi di ogni cosa necessaria: penuria di alloggi, mancanza di una vasta sede in cui poterli adunare per una regolare distribuzione dei sussidi, un locale ove ripararli dalle intemperie e dai pericoli della strada.
Finalmente con DL 3 gennaio 1918 i Prefetti costituirono in ogni città un Patronato per l’Assistenza dei Profughi, sostanzialmente suddiviso in Comitato Veneto e Comitato Friulano.
A Milano, in particolare si costituì un Comitato Friulano e, al termine della guerra, un Comitato Trentino per spedire materiale in alcune località delle “Terre Liberate”.

Il comitato Friulano (1918)
Milano ospitò gran parte dei friulani, tanto che il 3 novembre 1917 era già in funzione un Comitato Friulano, anticipando quello stabilito con legge 3 gennaio 1918. La sede fu posta in corso Vittorio Emanuele, 8 al Teatro San Martino dove si trovavano ambienti vasti e comodi. Il numero dei profughi che ricorsero al Comitato fu circa 6800: in sei mesi ricevettero sussidi alimentari e contributi per l’affitto pari a L.3.956.806,15.
Dal I° giugno 1918 in poi i profughi furono ospitati al Teatro Dal Verme già requisito dall’Autorità Militare e lasciato alla Commissione Esecutiva per la gestione: l’ambiente, per struttura e ubicazione fu veramente all’altezza del bisogno. Circondato da alberi, veniva celato agli sguardi dei curiosi; numerose porte consentivano di disciplinare l’entrata e l’uscita. Nel grande atrio vi era la Sezione Sussidi militari, la Sezione Macchine da Cucire, la Redazione delle Ricevute, e la Cassa. In platea, a destra, vi era la timbratura delle tessere, lo schedario, i Sussidi d’Affitto e i Commissari per gli assegni; a sinistra vi era la Sede del Comitato Friulano; al centro l’Ufficio Posta, l’Ufficio Notizie, l’Ufficio distribuzione buoni da cucina e l’Assegnazione indumenti.
Nelle sale laterali di destra vi era la Presidenza della Commissione Esecutiva, la Segreteria e un’ambulanza medica. In quella di sinistra, l’Ufficio dattilografi. Sul palcoscenico vi era la sala ritrovo, la distribuzione indumenti e calzature. Nelle sale superiori vi era la Sezione della Prefettura, l’Ufficio Rimpatrio e i Magazzini. Infine nel sotterraneo vi era la cucina, il Refettorio e i Magazzini alimentari.
Le cucine erano condotte dalle stesse donne profughe e l’americano Sidney Segal offrì larghezza di prodotti alimentari. La cucina iniziò l’attività a settembre del ’18 con la preparazione di 100 minestre al giorno per poi passare a 350; capitò però che la Società “Contro l’incendio” denunciò il Comitato e così la cucina dovette essere soppressa.
Da segnalare che il 31 agosto 1918 SM il Re visitò il Teatro; seguirono le visite del Cardinal Ferrari, del Gen. Angelotti Comandante la Piazza di Milano, il Comandante della Base Francese, i Consoli di Francia, Inghilterra e Stati Uniti d’America. Offrirono fondi e oggetti la Croce Rossa Americana col gen. Mr. Davidson, i Colonnelli Wedsworth, Lee e Perkins, oltre a numerosi industriali milanesi e anonimi benefattori.
Il Teatro cessò di funzionare a fine 1919.

Il Comitato Trentino (1918)
Su 375 Comuni del Trentino, 150 erano quelli danneggiati. Milano pensò pertanto di aiutare materialmente ed economicamente alcune località con spedizioni di soccorso per far fronte alle molteplici esigenze delle popolazioni.
Tra dicembre 1918 e il 1919 furono effettuate varie spedizioni fra le quali sono da segnalare:
- l’11 luglio 1919 furono inviati 5 mila capi di vestiario verso i Comuni di Castel Tesino, Ivano Fracena, Villa Agnedo, Scurelle, Spera, Bieno, Strigno, Isera e Lenzina. All’ospedale di Borgo Val Sugana fu inoltre consegnato un cassone di medicinali.
- il 22 luglio 1919 con 2.328 capi d’abbigliamento verso Grigno, Carzano, Samone, Ospedaletto Val Sugana.
- il 13 settembre 1919 fu la più grossa spedizione organizzata con cura con due camions militari e un’auto comandata dal Capitano degli Alpini Ezio Garbari (irredento): furono portati 12.192 capi a Novaledo, Casotto Val d’Astico, Pedemonte, Borgo, Olle, Ronchi, Canal San Bovo, Canale, Prade, Ronco, Gobbera, Caoria, Livinallongo, Arabba, Andraz, Pieve di Livinallongo e Luserna.

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(1)Nato a Trento nel 1867, dopo avere frequentato il liceo a Milano, si trasferì prima a Monaco e infine a Bonn, dove ottenne il diploma in Ragioneria. A 20 anni fu a Buenos Aires e là fu nominato Vice Presidente della Società Trentini Irredenti. Di ritorno a Trento, nel 1893, fu uno dei capi del movimento irredentista e scontò anche varie condanne politiche nelle carceri di Trento, Rovereto e Innsbruck. Fu Presidente della Società Alpinistica Tridentina (SAT), e in tale veste, giocò un ruolo fondamentale nella cessione del futuro Rifugio Contrin all’Associazione Nazionale Alpini proprio all’epoca in cui Andreoletti era Presidente; fu anche Capo Console del Touring Club Italiano. Fu dal 1889 in stretti rapporti col 6° Reggimento Alpini; costituì nel 1894, il 1° Battaglione Trento. Larcher fu in continuo rapporto con lo Stato Maggiore di Roma, informandolo sui movimenti e sulla situazione militare del Tirolo. Nel 1908 fu a Reggio Calabria, quale vice comandante del Comitato veneto – trentino di soccorso ai terremotati. Nel 1909 fu condannato per la dimostrazione ostile organizzata contro un gruppo di tedeschi scesi nel Trentino per germanizzare alcune località (Pergine e Calliano). Il 10 agosto 1914, firmò con Cesare Battisti e Giovanni Pedrotti il memoriale a S.M. il Re perché fosse dichiarata la guerra contro l’Austria. A Milano, sempre con Battisti e altri otto trentini, costituì il Comitato dell’Emigrazione Trentina, che per 9 mesi fu il centro dell’interventismo trentino. Si arruolò nel Battaglione Negrotto e poi, come semplice soldato, nel 5° Alpini, Battaglione “Edolo”. Si ritrovò con Battisti sul Montozzo; per l’azione della Forcella (ottobre 1915) ebbe la Croce di Guerra con motivazione. Nominato Sottotenente, passò in Val Narcanello, poi al Comando del Settore di Valcamonica e dell’Alta Valtellina. Dal giugno al novembre 1916, fu in Russia, addetto alla missione militare per il recupero dei prigionieri irredenti, che, militando nelle file dell’esercito austriaco, in forza degli accordi con gli italiani, alleati dei russi, dovevano essere rimpatriati in Italia. I prigionieri, invece, furono mandati fino in Cina, sbarcati negli USA; solo negli anni ’20 poterono rientrare in Trentino. Dopo Caporetto, avendo chiesto di essere inviato in 1a linea, passò ai lavori di sgombero e di inondazione sulla Livenza, a Bassano e a Carezzala, poi all’Ufficio Informazioni Militari. Dal 6 novembre 1918 al 30 ottobre 1919 fu addetto al Generale Amantea dell’Ufficio politico del Governatorato di Trento. Nel novembre del ’18 fu anche in missione speciale a Innsbruck per ricondurre in Trento il Podestà, i Consiglieri comunali, gli internati e i condannati politici. Fu il primo Ufficiale italiano a sventolare il Tricolore a Innsbruck. Fu congedato col grado di capitano, fascista e nominato senatore nel 1939. Sottoposto a processo per il passato politico, venne assolto nel 1949, perdendo però la carica politica. Muore a Trento il 20 agosto 1959.

(2)Da ricordare che anche a Firenze, nell’autunno del 1915, venne costituita la “Famiglia del Volontario Trentino”. Fu fondata e gestita esclusivamente da donne (fra le quali poi la vedova di Cesare Battisiti) e aveva il compito di aiutare i trentini che, volontari, si erano arruolati nel Regio Esercito italiano con l’invio di piccoli indumenti di lana, oggetti di uso comune, cibo e libri.
Nella primavera del 1917, in seno alla “Famiglia del Volontario Trentino” fu fondata la “Legione Trentina”: riuniva tutti i Volontari trentini arruolati nel Regio Esercito onde raccogliere loro notizie, offrire appoggio morale e materiale, onorare i martiri e i Caduti. Dopo la Grande Guerra si trasferì a Trento, proseguì l’attività finalizzata alla difesa dell’idea nazionale e all’affermazione del confine al Brennero. Dopo la II^ guerra mondiale conobbe sempre di più un periodo di crisi che cessò nel 1988 con lo scioglimento.

(3)Il Battaglione era in origine chiamato “Battaglione Milano” e faceva parte della Federazione dei Battaglioni Volontari Studenteschi “Sursum Corda” che fin dal 1910 sorsero a decine in tutta Italia al fine di plasmare la gioventù italiana all’amor di patria e al rispetto delle istituzioni civili e militari. Il Tenente Colonnello Pericle Negrotto fu il primo comandante del Battaglione “Milano” e il più attivo, ma – scoppiata la guerra – fu richiamato e purtroppo perse la vita il 2 giugno 1915 sul Mrzli alla testa del suo 23° Battaglione Bersaglieri. In sua memoria il “Battaglione Milano” fu chiamato “Battaglione Negrotto” che venne sciolto nel 1923. All’interno del Battaglione “Milano-Negrotto”, venne creata la V^ Compagnia costituita dai Fuoriusciti trentini e il comandante fu Arturo Andreoletti.

(4)Arturo Andreoletti (1884 1977) fu il Fondatore per eccellenza dell’Ass. Nazionale Alpini fin dai primi tempi. Durante la Grande Guerra fu il comandante della 206^ Compagnia del Battaglione “Val Cordevole”, 7° Reggimento Alpini, poi comandante del settore Ombretta - Marmolada. Sul Monte Grappa fu ufficiale nello Stato Maggiore della IV armata, si meritò due Medaglie d'Argento e una di bronzo e entrò per primo in Cismon liberata. Andreoletti, oltre essere stato valoroso alpino, fondatore dell’Ass. Nazionale Alpini, fu pure una gloria dell'alpinismo dolomitico, protagonista delle prime scalate italiane della Marmolada, del Catinaccio e del Sella.
Muore a Como il 24 gennaio 1977.

(5)Secondo recenti stime si indica in circa 800 (su 60 mila uomini in tutto il Trentino) il numero dei Trentini che si arruolarono nel Regio Esercito Italiano. Gli uomini provenivano per lo più dalla città di Rovereto e Trento ed erano studenti, borghesi e professionisti di vario settore.

(6)Fondata nel 1889 da un gruppo d’intellettuali guidati da Carducci, è attiva ancora oggi. Ha lo scopo di “tutelare e diffondere la lingua e la cultura italiana nel mondo ravvisando i legami spirituali dei connazionali all’estero con la Madre Patria e alimentando fra gli stranieri l’amore e il culto per la civiltà italiana”.

(7)Sorta nei primi anni del ‘900 e tutt’oggi attiva, ha per scopo l’aiuto ai più poveri, soccorso alle famiglie rimaste senza abitazione e agli emigranti italiani che, rientrando in patria, erano senza dimora.

(8)Nata nel 1892 ha lo scopo di “aiutare i poveri procurando loro assistenza, lavoro ed istruzione”. Fra il 1905 e il 1908 realizzò pure i quartieri popolari di via Solari e di viale Lombardia. Oggi è ancora attiva nel settore educativo e formativo in Arti e Mestieri, sempre per i più poveri e disadattati.