DALLE SPONDE DELLA CALIFORNIA
AI CONFINI D’ITALIA

di Andrea Bianchi

Sul fronte dell’Adamello, tra l’8 e 9 giugno 1915 il sottotenente veronese Castelli Paolo Emilio aveva avuto l’ordine di condurre due plotoni del battaglione “Morbegno” verso le ridotte nemiche ai Laghi di Presena. Si trattava di una marcia notturna difficile anche dal punto di vista alpinistico, senza guide esperte, con una tormenta di neve che congelava il sudore degli uomini che da ore, in fila indiana, avevano scavalcato il passo Lago Ghiacciato e Maroccaro a tremila metri di quota. Le nuvole basse avevano dato però il vantaggio di nascondere la marcia dalla vista del nemico che teneva un forte presidio nel sottostante rifugio Mandrone. Il più assoluto silenzio faceva ben sperare per discendere nel catino coronato dal Castellaccio verso le posizioni nemiche, cogliendole di sorpresa.
Le compagnie 44^ e 47^ al mattino del 9 avrebbero dovuto aprirsi a ventaglio sul ghiacciaio verso gli obiettivi assegnati. Il sergente Giovanettoni Erminio, matricola 20911, era pensieroso: con la mente rammentava il suo luogo natio, Eureka, nel nord della California. La sua città era sorta nel 1860 dopo aver massacrato le tribù indiane che vivevano su quelle terre. La Corsa all’Oro aveva richiamato moltissimi “visi pallidi”, fra i quali anche degli italiani. Si erano così insediati i suoi genitori, facendo i pescatori e i boscaioli; lui però aveva sempre avuto il desiderio di esplorare la sua patria italiana e così, dopo quattro mesi di navigazione, era sbarcato a Genova: un percorso controcorrente rispetto alla massa di emigranti che all’inizio del ‘900 lasciavano la patria. Erminio era tanto sicuro della decisione intrapresa da voler dare anima e corpo per quell’Italia: così s’arruolò negli alpini. Svelto di mente e prestante fisicamente, quella notte i suoi galloni argentei spiccavano orgogliosamente sulla giubba grigioverde impregnata di ghiaccio.
Sull’Adamello, improvvisamente, le nuvole si sfilacciarono e il sole, nell’immenso ghiacciaio, fece scintillare d’azzurro i Laghi evidenziando le posizioni degli austriaci da conquistare. Al capitano Villani Giuseppe da Arona, comandante della 44^ compagnia, questo fatto non piacque per niente: le colonne erano troppo scoperte. Infatti, nemmeno il tempo di concludere questo pensiero che, improvvisamente fra le fila degli alpini, si sentì un grido e cadere morto un soldato. Il suono “ta-pum” riecheggiò lugubre nella conca, seguito da altri colpi che andavano a segno: la sorpresa era fallita, gli uomini individuati. Si diede ordine immediato di formare le squadre, cercare dei ripari e rispondere al fuoco. Anche la 47^ compagnia al comando del genovese capitano Morelli di Popolo Guido, subiva la medesima sorte. I tiri dei fucili a cui si aggiunsero le granate d’artiglieria nemica, erano precisi: morti e feriti tingevano di rosso il bianco ghiacciaio. Il caporalmaggiore Geninazzi Carlo da Albogasio (CO), muore fulminato colpito in fronte, così come i sottotenenti Pettorino Giuseppe da Gattinara (NO) e Arrigoni Raimondo da Bellano (CO).
Gli alpini si fecero massacrare per ore quando – finalmente - il tenente Comune Felice da Torino portò l’ordine di ripiegare per scaglioni senza però prima assumere il comando di due plotoni privi degli ufficiali perché feriti. Il trombettiere Urio Giuseppe da Moltrasio (CO), benché ferito due volte, ebbe il fiato possente per suonare la ritirata. Si disse che tal suono fu udito fino al Passo del Tonale; purtroppo anche in questo frangente vennero uccisi altri due alpini che stavano medicando il capitano Villani, rimasto ferito alle gambe poco prima. La stessa fucileria che colpì i due soccorritori, uccise il valoroso capitano centrandolo alla gola.
Cavallerescamente il tenente Rico Quandest dei valorosi Landsschützen invierà tempo dopo al comando del 5° Alpini il portafoglio del Caduto e la foto del Cimitero di Vermiglio che accolse le 52 Salme degli alpini recuperate e pietosamente inumate dagli austriaci.
87 furono i feriti e 13 i Decorati al Valor Militare fra gli alpini in quella giornata, mentre fra gli austriaci si ebbe un solo caduto: il caposquadra di sanità Mayr, colpito a tradimento dall’alpino che si accingeva a soccorrere.
Il nostro californiano, ferito, riuscì a rientrare nelle nostre linee e ad essere curato in un ospedale. La sua forte fibra lo rimise in sesto, il suo petto ampio potè accogliere fieramente la Medaglia d’Argento che la sua amata patria Italia gli consegnò.
Non pago, tanto grande era il suo Cuore, il 15-16 maggio 1916, col grado di sottotenente, si comporta ancora valorosamente sul monte Coston, sull’Altopiano di Asiago. Viene nuovamente ferito e il suo petto è fregiato di una seconda Medaglia d’Argento.
Infine sappiamo che sopravvisse alla guerra. Poi su di lui … nient’altro; forse è meglio così, perché questa sua piccola micro – storia, ora scoperta a 100 anni di distanza, può dare libero sfogo alle nostre considerazioni basate anche sull’esempio offerto da un Alpino giunto dalla lontana California per una nuova Italia.

Cartografia